SEMINARI ESTIVI
Gressoney-St.Jean, 21-29 agosto 2004

Il libro di Giona, 21-24 agosto

Giona, che coi suoi 48 versetti è uno dei libri biblici più brevi, è stato oggetto di attenta lettura nel primo dei due seminari estivi di Gressoney, frequentato da ben 98 corsisti, guidati dal prof. Paolo De Benedetti in collaborazione colla prof.sa Elena Sala e col prof. Paolo Papone.
Testo breve, dicevamo, collocato tra gli scritti profetici sebbene sia un midrash sulla crisi del profetismo. Testo ricco di personaggi: Dio e il suo navì ribelle, innanzitutto, e poi i marinai col loro capitano, i niniviti, re e sudditi d’ogni taglia e condizione, la balena e le bestie penitenti e innocenti della «grande città»; il ricino, obbediente in tutto al suo Signore e forse per questo unica vera vittima dell’intera vicenda; la nave, infine, il vento e il mare, la spiaggia, la città, il deserto, la capannuccia sbilenca; buona parte del creato, insomma, e ampie tracce dell’umano operare.
È chiaro che tutto ciò non poteva restare senza eco nei commentatori e senza ricadute nel lavoro dei letterati e degli artisti che alla Bibbia si sono ispirati. Ed è così che il midrash di Giona, nato nel V secolo dell’evo antico per dare anima e volto al profeta Giona figlio di Amittai (2 Re 14, 25), di cui pochissimo si sa, ha generato una ricchissima letteratura midrashica, che tutto tenta di svelarci su Giona e i marinai, sui niniviti e sul ricino e soprattutto sul «grande pesce», la balena della tradizione.
Con grande sapienza e col consueto umorismo Paolo De Benedetti ha condotto i corsisti, prima attraverso le essenziali notizie storiche e critiche sul libro, poi attraverso i meandri dell’interpretazione rabbinica e della produzione midrashica.
Al termine di tale percorso egli li ha invitati ad individuare i temi teologici del testo: il valore salvifico delle minacce di punizione, che Dio così spesso mette in bocca ai profeti, e l’universalità della sua misericordia. A proposito del primo tema ha notato che, mentre Dio intende le sue minacce come annuncio condizionato e revocabile, «se» il destinatario della parola profetica si converte, Giona le legge come definitiva dichiarazione di un evento ormai inevitabile. Allo stesso modo il secondo tema vive sulla contrapposizione tra l’esclusivismo salvifico di Giona, che ritiene Israele l’unico interlocutore di Dio, e Dio stesso che fa di Giona il solo profeta inviato in terra straniera coll’inaudito esito della conversione dei marinai e della penitenza del niniviti.

Sostanzialmente concorde nelle conclusioni, anche se molto diverso nello stile argomentativo, l’intervento del prof. Papone sui richiami alla figura di Giona nel Nuovo Testamento. Egli ha sottolineato il carattere ironico dell’evocazione del «segno di Giona» da parte di Gesù; «segno» che originariamente consiste nella conversione dei niniviti, contrapposta alla sordità dei capi di Gerusalemme, e che solo più tardi viene arricchito da Matteo col parallelismo tra il tempo passato da Giona nella balena e quello trascorso da Gesù nel sepolcro (cfr. Mt 16, 1ss. con Mt 12, 38-42).

Secondo Papone analogo procedimento ironico va applicato al passo della professione di fede e del primato di Pietro. Chiamando Pietro «figlio di Giona» («nuovo Giona»), mentre il Quarto Vangelo lo dice «figlio di Giovanni » (cfr. Mt 16, 17 e Gv 1, 42 e Gv 21, 16), Gesù relativizzerebbe, infatti, il mandato ecclesiologico che sta per affidargli.

Ma gli echi e la fortuna di Giona e della sua balena qui non finiscono. Essi continuano, come ha bene mostrato la prof.sa Elena Sala, nell’iconografia, nella musica e nella letteratura non solo cristiana, in collegamento col mitema universale della lotta col grande mostro e col rito di passaggio e rinascita dalla morte alla vita, dalle tenebre alla luce. Anzi, forse il soggiorno nella balena evoca il soggiorno nell’arca salvatrice, che accoglie per proteggere dalla tempesta e restituire alla terra ritornata ospitale, come mostrano alcune interpretazioni psicanalitiche dei primi capitoli di Giona.

Davvero una bella esperienza di lettura, ricca e stimolante, accompagnata da giornate stupende di sole, da panorami degni dei migliori paesaggisti alpini e da serate raccolte di musica e di amabile conversare con amici di Biblia e con appassionati cultori di Margherita di Savoia, regina alpinista, presso la cui foresteria i corsisti erano ospitati.

Aldo Bodrato

Vedi anche, del medesimo, la poetica riflessione: Parola di ricino


I libri dei Maccabei, 25-29 agosto

Non è infrequente nella Bibbia che le stesse vicende vengano narrate più di una volta. Ciò vale in parte anche per i due libri dei Maccabei. Se è lecito confrontare il grande al piccolo, ciò avviene anche per le nostre relazioni sul secondo seminario estivo, anche noi vi presentiamo due versioni che dicono cose parzialmente simili e parzialmente diverse.
I Maccabei questi sconosciuti
I due libri dei Maccabei oggetto del secondo seminario venivano affrontati con qualche perplessità dai soci che si erano trattenuti per tutta la settimana. Invece i Maccabei, che tra l’altro fanno parte dei libri duterocanonici e non sono compresi nella Bibbia ebraica, grazie alla presentazione storica del prof. Alberto Soggin e alla precisa e brillante analisi dei testi svolta dal prof. Lucio Troiani docente dell’università di Pavia, si sono rivelati di grande interesse storico, letterario e filologico aprendo molti squarci sulle problematiche che il contatto con la civiltà ellenistica aveva creato nella vita degli ebrei di Gerusalemme e delle numerose comunità della diaspora.
I due libri consistono essenzialmente di due lettere scritte da due autori diversi, in lingue diverse, in anni diversi, ma il cui scopo principale e comune è mettere in guardia il mondo ebraico dalla trasgressione della Legge che lo porta all’assimilazione di altre culture con la conseguente perdita della propria identità. I Maccabei restano comunque una delle poche fonti. anche se anonime ed ebraiche. sulla conoscenza degli avvenimenti che si susseguono dopo la morte di Alessandro Magno avvenuta nel 332 a.e.v. Diviso il grande impero da lui conquistato, la Siria e la Giudea entrano a far parte prima del regno dei Tolomei d’Egitto e poi dal 198 a.e.v. con Antioco III del regno dei Seleucidi. Le lotte che si svolgono tra queste due dinastie per l’espansione dei rispettivi regni, causano spesso l’intervento di Roma che dal 168 a.e.v. dopo la battaglia di Pidna ha ormai piena sovranità sul mondo mediterraneo.
I Seleucidi costretti da Roma al pagamento di un enorme tributo cercano di impadronirsi dei tesori di templi, compreso quello di Gerusalemme. Già Seleuco IV, erede del debito paterno, aveva tentato di far asportare il tesoro del tempio di Gerusalemme, incontrando però la forte opposizione del sommo sacerdote Onia III, al contrario Giasone, fratello di Onia, appoggiato da una numerosa élite ebraica filoellenista, promette forti somme di denaro ad Antioco IV Epifane. Così, nel 178 a.e.v., riesce ad ottenere per sé e per una élite che era dalla sua parte, lo statuto di cittadini di una città ellenistica istituendo il senato, il gimnasium e una efebia. Questi ebrei soprannominati «Antiochiani di Gerusalemme» si vogliono uniformare alla cultura greca considerandola oltretutto superiore alla propria.
Contare su questa forte corrente ellenizzante fu fondamentale per le decisioni di questo sovrano che nel 168 a.e.v. interdice il culto nel tempio di Gerusalemme, lo dedica a Zeus Olimpus e lo adibisce al culto pagano. È a questo punto, cioè nel 164 a.e.v., che, approfittando delle lotte interne dei pretendenti al trono Seleucide, scoppia la rivolta Maccabaica.
Il I libro dei Maccabei è un’apologia ufficiale dei tre fratelli di questa dinastia: Giuda, Gionata e Simone. L’autore è un ebreo di Gerusalemme; il testo, tradotto in greco dall’originale ebraico perduto, lascia trasparire la poca familiarità dello scrittore con l’ellenismo: forma e contenuto sono infatti ben lontani dallo stile della letteratura greca. Del resto ancora nel II sec. a.e.v. sono numerosi gli esempi di letterature indigene. Vive nel I sec. a.e.v. durante il regno di Giovanni Ircano II, figlio di Simone, ma fa risalire la sua lettera, che è una tipica lettera devozionale, all’epoca di Antioco IV cioè al 168 a.e.v.
Cerca di spiegare agli ebrei delle comunità delle diaspora l’importanza della rivolta Maccabaica, infatti Giuda detto il maccabeo, della famiglia sacerdotale degli Asmonei, appoggiato da un gruppo di Chassidim (pii), rientra in possesso del tempio di Gerusalemme violato da Antico IV tre anni prima. La rivolta scoppia sia contro i Seleucidi sia contro i giudei ellenizzati del partito di Giasone. Giuda quindi è un eroe perché riesce a preservare la purità e l’identità ebraica attraverso la continuità del culto e il rispetto della legge
L’autore però, vivendo in una realtà poco cosmopolita,sembra temere più la contaminazione delle vicine tribù cananaiche, pronte a lasciarsi assorbire dall’ellenismo, che l’ellenismo stesso.
Va sottolineato che nel I libro dei Maccabei non c’è alcuna connessione tra la riconquista del tempio e la festività di Chanukkà.
L’autore del II libro dei Maccabei, invece, anche se ebreo è imbevuto di cultura greca, scrive direttamente in greco una lettera che i giudei di Gerusalemme inviano ai giudei della diaspora egiziana. Anche questa lettera ha uno scopo devozionale: richiamare il giudaismo della diaspora all’osservanza dei precetti, ma soprattutto esortarlo a celebrare la festa di Chanukkà legata alla riconsacrazione del tempio operata da Giuda Maccabeo nel 164 a.e.v.
L’autore ha ben presente quanto ormai l’ellenismo stia  profondamente influenzando i costumi degli ebrei, e quindi vuole sottolineare l’importanza di questa festività, legata alla riconquistata indipendenza degli ebrei e all’inaugurazione del santuario avvenuta in un’aura di miracolo per la riscoperta del fuoco sacro che simboleggia la continuità del culto nonostante i tre annnni di profanazione. Egli opera qui un inserimento extrabiblico tipico della letteratura apocrifa facendo risalire a Neemia la conservazione del fuoco sacro che è da lui trasmessa al profeta Geremia, introdotto come diretto predecessore di Giuda Maccabeo. L’autore ha capito che la parola giudaismo ha ormai perso la sua connotazione territoriale, e quindi è fondamentale attenersi alla Legge e rispettare le festività perché si può denominare giudeo solo colui che si attiene alla Torà.
Nella serata dedicata alla discussione finale la maggior parte dei partecipanti concordemente riteneva che data la complessità dei testi non c’era stato il tempo necessario per approfondire la particolare collocazione degli stessi. Infatti i Maccabei scompaiono dalla tradizione rabbinica dal 100 e.v., mentre ci vengono tramandati come libri deuterocanonici.
Sono forse scomparsi dal canone per il forte carattere di apologia ufficiale della dinastia Maccabaica considerata a volte più sensibile ai successi militari che fedeli al giudaismo tradizionale? che peso ebbe il fatto che il tema del martirio e dell’eroismo sviluppato nel cap. settimo di 2 Maccabei (che verrà poi approfondito nel quarto libro dei Maccabei) è stato accolto da S.Agostino e da altri padri della chiesa come il prototipo dei martiri cristiani? Potrebbe questo tema essere oggetto di un altro seminario?

Stefania Grosz



«Più di 60 iscritti al Seminario dei Maccabei»?

Agnese, scettica, ride insieme con i presenti. Ma la risata – ce lo ricordiamo bene (cfr. Gen 17,17; 18,12) – talora annuncia eventi straordinari. Mi dispiace per gli assenti che si sono persi l’aiuto prezioso del prof. L. Troiani, il quale ci ha condotti, più padre paziente che docente ex cathedra, attraverso una sapiente analisi del testo biblico inserito nella storiografia dell’epoca.
I due libri deuterocanonici dei Maccabei raccontano una vicenda, a prima vista complessa, di date, nomi, insurrezioni e battaglie. 
Dopo la spartizione del regno di Alessando Magno, Israele viene dominata dapprima dai Tolomei d’Egitto e poi dai Seleucidi di Persia
Sotto questa seconda dominazione si svolgono i fatti riportati nei due libri, che quindi abbracciano un arco di tempo compreso tra il 175 e il 135 a.e.v.
La vicenda vede, da un lato, i Seleucidi, che solo per esasperata necessità di denaro, ma non per motivi religiosi o razziali, depredano Gerusalemme e ne saccheggiano il tempio e, dall’altro, la comparsa, tra gli ebrei più vicini al tempio, di personaggi opportunisti che si comprano la protezione politica del sovrano in cambio dell’offerta di risorse economiche e della apertura alla cultura «delle nazioni».
In questa temperie inizia la resistenza armata, spesso condotta nella clandestinità del deserto, ed operano gli eroi («fu data a Israele la salvezza per mano loro»): i Maccabei, per stabilire l’indipendenza nazionale intesa principalmente come eliminazione dei nemici interni .
Giuda Maccabeo riesce ad impossessarsi della maggior parte della Giudea, di Gerusalemme e del tempio che viene riconsacrato; si susseguono la lotta armata e la resa per ottenere libertà di culto ad opera dei sostenitori della purità religiosa, divisi tra falchi e colombe.
La vicenda è sostanzialmente sovrapponibile nei due libri, ma diverso è l’angolo di visuale, l’approccio e pertanto il messaggio che ne deriva.
L’autore di 1 Maccabei, ebreo di nascita, fede, lingua e residenza, analizza i fatti dall’interno della sua nazione, individua i rischi della contaminazione del popolo prevalentemente a opera degli stati limitrofi quali i territori Cananei.
Viceversa, l’autore di 2 Maccabei, ebreo di fede, ma greco di lingua, scrive con la visuale dell’ebreo della diaspora che conosce le vicende di Gerusalemme, ma non può non filtrarle attraverso il suo vissuto e cioè attraverso le problematiche che gli derivano dal confronto col mondo ellenistico, recipiente della diaspora.
Sono pagine nelle quali l’identità religiosa si misura con l’integrazione in un contesto sociale globalizzante, nelle quali corruzione e integrità, assimilazione e individualità si scontrano inevitabilmente, in modo sanguinoso, talora con connotati esemplaristici.
In fondo, il primo e istintivo ricordo suscitato dalla parola «Maccabei» è legato al martirio di Eleazaro, della madre con i sette figli, primizie di quella che sarà la letteratura cristiana dei martiri.
La purificazione del tempio, fulcro dei due testi in esame, verrà ricordata nel mese di kislew (novembre-dicembre) nella tradizione ebraica come la festa di Chanukkà – festa delle luci – della quale il Rabbino Caro ci ha spiegato i contenuti interpretativi. Si tratta della celebrazione dell’indipendenza politica e cultuale, dell’inaugurazione del Santuario e del miracolo dell’olio. Tra i simboli della festa, insieme alle luci del candelabro a otto bracci, la tradizione ci offre una trottola a quattro facce sulle quali quattro lettere dell’alfabeto ebraico sono da leggere come acronimo o come valore numerico uguale a quello della parola Messia o dell’espressione: «Dio regna, Dio ha regnato, Dio regnerà».
In ogni momento di contaminazione pagana il richiamo a Dio diventa più forte. Non è forse vero per ogni religione monoteista?
Giona e Maccabei, presentati quest’anno a Gressoney, sono due seminari per diversi «appetiti» biblici ? Non credo.
Se un tema dominante nella lettura del libro di Giona è l’antitesi universalismo – particolarismo, il racconto maccabaico fa luce su un’altra antitesi calata nella storia: individualità – globalizzazione.
Problema di un popolo e sicuramente problema che ogni uomo si porterà nei secoli, ebreo della diaspora ma anche europeo, in gran parte tributario di due culture che possono prevaricarsi o comporsi nel reciproco rispetto.
E infine il nostro pensiero va all’amica Elena Segalla, visitata, proprio al temine del seminario, da un indicibile dolore: per lei e per il suo unico figliolo accendiamo la piccola luce del nostro affetto.

Federica Ettori


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