ANCORA SUL DOLORE
DEGLI ANIMALI
   Il convegno di Biblia del maggio 2003 su «Il diavolo e l’Occidente» è stato l’occasione di una lettera a Biblia da parte di una studiosa, Vilma Baricalla, autrice fra l’altro dell’importante saggio: Leibniz e l’universo dei viventi, edizione ETS, Pisa 1995.
   Pubblichiamo qui di seguito le sue osservazioni:
    La tradizione cristiana guarda agli animali in modo ambivalente.
1) L’animale è visto, anzitutto, come creatura innocente e la considerazione della sua sofferenza pone gravi problemi di teodicea. Efficacemente Martinetti scrive che «non vi è nulla che gridi così altamente contro la bontà e la giustizia divina come il dolore animale» ed aggiunge che «il dolore che innumerevoli poveri esseri innocenti soffrono sulla terra senza ragione e senza speranza è tale iniquità da oscurare anche la beatitudine eterna del cielo». In effetti, lo schema agostiniano di una giustizia retributiva, in cui il dolore è conseguenza del peccato, non si può applicare agli animali innocenti. Essi soffrono, dunque, espiando una colpa non loro. E poiché non si ritiene la loro anima immortale, essi risultano destinati ad un dolore senza ragione e senza speranza, privi anche di una qualsiasi prospettiva di liberazione e di salvezza.
Ma, di fronte a ciò, come si può credere nella giustizia e nella bontà di un Dio, che ha riservato a creature incolpevoli un simile destino?
La frequente risposta che è per uso e beneficio umano che Dio ha creato gli animali non risolve il problema, bensì lo aggrava enormemente. Con essa l’ingiustizia dal piano teologico si estende a quello etico e moralmente irrilevanti vengono giudicati tutti quei comportamenti umani che si rivolgono verso altre creature.
L’inadeguatezza dottrinale sotto questo profilo induce a riflettere, a considerare altri modelli interpretativi.
2) C’è (e c’è stato), nella storia della tradizione cristiana, un altro modo di guardare l’animale. Significativa, in questo senso, è l’iconografia del diavolo raffigurato come bestia. Tale raffigurazione attesta il retaggio, nella nostra cultura, di una visione dualistica, l’esistenza di pregiudizi che vedono concentrate nell’animale tutte le espressioni del negativo, che lo hanno trasfigurato in «specchio
oscuro», ricettacolo di colpe, miserie e debolezze. Che correlazione c’è tra questi due aspetti, entrambi presenti nella nostra tradizione culturale? Esiste la possibilità, considerando il testo biblico, di una visione diversa?
Vilma Baricalla

   La mancata risposta (di cui ci scusiamo) al convegno di Biblia era dovuta, oltre che alla tirannia del tempo, alla complessità del problema stesso. Problema che è stato invece ampiamente dibattuto in un nostro precedente convegno nazionale: Gli animali e la Bibbia. I nostri minori fratelli, svoltosi a Spoleto nel maggio del 1993 e i cui Atti sono usciti con lo stesso titolo, a cura di Piero Stefani e col patrocinio del WWF, presso l’editore Garamond di Roma l’anno successivo. Questo libro risponde ampiamente alla sua seconda domanda, rifacendosi alle fonti bibliche e anche alla tradizione ebraica. In sostanza, condividiamo pienamente quanto aveva scritto Martinetti, aggiungendo soltanto che proprio il fatto che gli animali soffrono senza ragione, è secondo noi motivo di speranza, anzi di certezza, nella loro risurrezione e nella loro condivisione con noi della «vita del mondo che verrà».
Le numerose citazioni contenute nel libro che le inviamo a parte, mostrano quanto i pregiudizi «satanici» verso gli animali, le metafore animali per indicare i vizi, le possessioni ecc., siano in realtà il pesante residuo di concezioni magiche a lungo rimaste nei sotterranei del cristianesimo, e non ancora del tutto scomparse. Cristianesimo che troppo spesso si nasconde dietro San Francesco per farsi dei meriti che non ha. Forse (ma su questo lei è molto più preparata di noi) un po’ di colpa ce l'ha anche Cartesio...
Paolo De Benedetti

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