APPROFONDIMENTI  CULTURALI  -  XXXIII                                                                                                     ANNO XVIII, N.2

IL FALLIMENTO DELLA VIOLENZA
NEI MACCABEI


(Luis Alonso Schøkel, relazione tenuta al convegno nazionale di BIBLIA
 La violenza nella Bibbia,  Mantova 1990. Atti stampati da BIBLIA, esauriti)


N.B.- Poiché il testo contiene numerose citazioni dei Libri commentati, suggeriamo di aprire questa pagina, tenendola
 in evidenza per la relativa consultazione
(inoltre gli stessi testi potranno tornare utili per uno dei prossimi seminari estivi!)
Introduzione

I libri dei Maccabei non sono canonici per i Giudei, mentre lo sono per i Cattolici; fra i motivi per i quali gli Ebrei non li hanno accettati, certamente va annoverato l’odio per gli Asmonei e per i Romani. L’inserimento o meno nel canone cattolico ed ebraico crea però una situazione ambigua che va presa in considerazione. È un libro che per la sua complessità rispecchia quella dell’epoca corrispondente.
Alla morte di Alessandro, il suo impero appena sottomesso diventa scenario delle lotte fra i Diadochi. Dopo quasi vent’anni si profila una divisione stabile in tre zone: il regno dei Lagidi o Tolomei in Egitto, il regno dei Seleucidi in Siria e il regno macedone. La Palestina, facente parte della cosiddetta Celesiria, si trova ad essere rivendicata simultaneamente dai Signori di Egitto e di Antiochia. Durante tutto il III sec. dominarono i Tolomei seguendo una politica di tolleranza religiosa e di sfruttamento economico, ma verso il 200 a.e.v, il seleucida Antioco III riporta una vittoria su Scopa, generale di Tolomeo V, a Panion e stabilisce il suo dominio sulla Palestina; il cambiamento fu ben accolto dai Giudei stanchi dello sfruttamento dei Tolomei.
È del 200 il cosiddetto «editto di tolleranza» promulgato da Antioco III che concede ai Giudei intorno a Gerusalemme autonomia religiosa e civile. Si realizza così una situazione di serenità in cui la Giudea, pur rimanendo una provincia riesce ad avere una qualche indipendenza, la vita è possibile.
I Giudei, più o meno come gli altri popoli, subirono l’influsso dell’ellenismo, specie nel primo periodo, si venne realizzando una certa simbiosi spirituale e culturale che non annullava le leggi, le tradizioni, la religione dei padri. Nel secolo successivo le diverse posizioni nei confronti
dell’ellenismo si coagulano in due formazioni opposte ed estreme, due veri e propri partiti.
Uno di questi, che potremo chiamare progressista, crede di poter conciliare la fedeltà dovuta alla propria tradizione con una decisa apertura alla nuova cultura ellenistica di stampo internazionale, che tanto ha da offrire in campo filosofico, artistico e letterario: si può essere buoni Giudei,
fedeli all’Alleanza, alle pratiche tradizionali anche aprendosi all’ellenismo e accettando la situazione politica esistente. Del resto l’apertura culturale al mondo circostante non era una cosa inaudita, aveva degli antecedenti. Israele infatti nasce accettando Canaan e, attraverso
Canaan, tutte le culture a essa prossime.
L’altro partito, che potremmo chiamare conservatore, era chiuso a tutto quello che proveniva dal mondo greco; intransigente e integrista perseguiva la linea di separatismo e chiusura sostenuta da Esdra. I due partiti crescono e si rafforzano integrati nel contesto dello «stato» della Giudea con capitale Gerusalemme, che godeva di autonomia civile e religiosa, ma non militare.
Ma Antioco III muore nel 187 e gli succede il primogenito Seleuco IV (187-175), sotto il quale nascono delle difficoltà fra i Giudei e i dirigenti seleucidi. A lui succede, invece del figlio Demetrio, ostaggio a Roma, il fratello Antioco IV detto Epifane, ovvero «dio manifesto». Sotto il suo regno la coesistenza diventa impossibile.
Antioco IV, appena salito al trono mostra che la sua linea politica si sviluppa secondo due direttrici: all’estero vuole chiudere la annosa contesa con l’Egitto e intraprende una serie di campagne militari tese al suo assoggettamento; all’interno vuole unificare il suo regno: la
cultura deve essere quella ellenista, la lingua quella greca, usi costumi e leggi uguali per tutti; vengono soppresse le differenze nazionali e religiose. Nel 169, al ritorno da una vittoriosa spedizione in Egitto, scatena una folle persecuzione contro il partito egittofilo; ai Giudei, che erano pacifici sudditi imperiali, impone di diventare greci. Saccheggia il tempio di Gerusalemme (1Mac 1,21-28; 2Mac 5,15-18); l’anno seguente, dopo una ribellione, assalta la capitale, uccide e saccheggia. Non contento, fortifica una rocca a nord del tempio trasformandola in una polis greca abitata da una guarnigione siriana e da Giudei del partito ellenista. Questa fortezza, militarmente, dominava la città santa e il suo tempio; culturalmente, era un centro di attrazione culturale che introduceva culti stranieri. Antioco IV infine abolisce l’editto di tolleranza emanato da Antioco III.
La sua violenza si scatena contro le cose più sacre: vengono confiscati e distrutti i libri sacri, vietata la circoncisione tanto che le madri che ne hanno permesso la pratica sui propri bambini vengono messe a morte insieme con i propri figli, viene vietato il sabato, profanato il tempio che viene dedicato a Zeus olimpico. Questo episodio è definito «l’abominio della desolazione».
In questa situazione è impossibile convivere con il tiranno; il partito antigreco vede affermare la sua tesi, la violenza del re rafforza le sue posizioni. Inizia così il movimento di resistenza il cui sviluppo può essere semplificato in tre fasi.
1) In una prima fase ci si oppone al tiranno apertamente ma senza violenza, pronti a subire le conseguenze del rifiuto a eseguire azioni contrarie al proprio credo: ecco i martiri (una madre con i suoi sette figli) di cui 2Mac ci conserva la storia fra leggenda e verità, in testi, molto retorici ma molto graditi ai lettori, che forse hanno contribuito a salvare il libro nel canone cattolico.
2) Un altro modo non violento di opporsi al tiranno fu la fuga. Ci si rifugia in montagna, in campagna, ovunque non ci siano truppe di occupazione, dove si può vivere indisturbati seppure raminghi.
3) Per molti è preferibile la lotta armata, che inizia come guerriglia di un piccolo gruppo e poi di un intero esercito. Tale lotta continua, con sorti alterne, dal 166 al 134 fino a che i Giudei conquistano l’indipendenza. Inizia la dinastia degli Asmonei con Simone (fratello di Giuda maccabeo) che prende il titolo di governatore nel 142, poi con suo figlio Giovanni Ircano (134-104), e infine con Aristobulo (104-103) che assume il titolo
di re.
L’indipendenza così duramente conquistata ha termine quando Pompeo, nel 63, conquista Gerusalemme nelle campagne di espansione dell’impero romano in Medio Oriente.

1. Il contenuto e l’autore


 Nel suo libro Il Dio dei Maccabei lo storiografo Bickerman dimostra che lotta dei Maccabei, lungi dall’essere una guerra santa, è anzitutto una guerra civile fra due partiti sotto il pretesto della lotta politica internazionale che si stava svolgendo fra le vicine potenze di Egitto e Siria.
Ecco perché è molto importante la precente premessa storico-politica. Del libro dei Maccabei si sono fatte e si fanno letture che considerano pio e devoto tutto ciò che vi è scritto, rinunciando a qualsiasi atteggiamento critico. Tale lettura, diciamo devota, crea una mentalità e afferma una ideologia, porta a magnificare le gesta dell’eroe Giuda maccabeo, sentendo in sottofondo non la realtà politico-sociale che abbiamo indicato, ma le note di Haendel. Chi legge così la parola di Dio non crede nell’Incarnazione! Bisogna saper prendere le distanze dal testo e assumere un atteggiamento critico!
La scintilla della rivolta scocca quando, in occasione della festa dell’imperatore, in ogni paese viene eretto un altare e tutti sono costretti a sacrificare alla divinità imperiale. Mattatia, sacerdote non aronide ma della famiglia di Levi, sente tutto lo sdegno, l’ira, la violenza fatta alla legge che proibisce l’apostasia (Dt 13), va verso l’altare e uccide il suo fratello apostata e i due capitani imperiali che dirigono la cerimonia.
 È un atto di violenza che viene quasi consacrato dall’autore che lo descrive benissimo, ma in modo assolutamente partigiano: egli è un difensore entusiasta della linea dei maccabei. Questa evidente parzialità spinge a leggere il libro dei Maccabei ponendosi alla dovuta distanza, con il vantaggio di cogliere, con una lettura critica, quanto di altro l’autore lascia apparire attraverso le maglie della sua settoriale visione; tutto ciò rimane oscuro per il lettore entusiasta di un racconto fatto da uno che prende parte alla storia dei Maccabei e la narra esaltandone gli eroi.
Mattatia, come Mosè, dopo questo atto violento è costretto a fuggire, si rifugia in montagna, ma chiama a raccolta tutti coloro che sentono come lui lo sdegno o lo zelo o, comunque, la passione per la legge. Si forma un gruppo che cresce via via e porta avanti la guerriglia sempre più duramente, specie sotto la guida di Giuda. Alla morte di Giuda succede a capo della lotta il fratello Gionata che gioca sugli opposti fronti della guerra e della diplomazia, cercando di sfruttare le lotte intestine dei seleucidi; alla fine ne rimane vittima ed è al fratello Simone che tocca in sorte di riuscire a dichiarare l’indipendenza.
Abbiamo così tutti gli elementi per collocare l’epoca, i personaggi e il libro; in definitiva questo descrive una lotta di liberazione dalla persecuzione all’indipendenza e, secondo gli schemi usati dall’autore, i protagonisti all’inizio sono simili ai Giudici, mentre alla fine richiamano un
re davidico. Tale lotta si può schematizzare in due movimenti:
1) dall’editto di tolleranza ai partiti giudei;
2) dalla persecuzione ai martiri, alla guerriglia e alla guerra accompagnata da molta diplomazia.

2. Possibili itinerari di lettura

Un’altra schematizzazione utile alla piena comprensione della vicenda e del libro si ottiene seguendo un singolo tema in tutto il suo sviluppo.
a) Il tempio
Si va dalla profanazione (1Mac 1,20-24.54) alla sua riconquista a opera di Giuda maccabeo con conseguente purificazione e riconsacrazione (1Mac 4,36-55).
b) La legge
Era stata vietata da Antioco IV che ne confisca i documenti (1Mac 1,41-50), ma il governatore Lisia concede di nuovo autonomia per quanto concerne la religione e la legge consuetudinaria; in pratica ciò equivale a ripristinare l’editto di tolleranza e a porre fine alla persecuzione di Antioco IV (1Mac 6, 58 sgg. ) .
Ma la violenza scatenata sulle questioni della legge e del tempio non si ferma e per un’inezia continua puntando a obbiettivi prima impensabili.
c) L’acropoli: da 1Mac 1,33-36 a 1Mac 13,51. La pace di Lisia non l’aveva eliminata: è una spina nel fianco che fa male.
d) La datazione
In 1Mac 1,10 si legge che Antioco comincia a regnare l’anno 137 della dominazione greca; si usa quindi la datazione ufficiale seleucida. È storicamente un libro affidabile anche se di parte; l’autore è tanto puntuale nell’indicare le date che sembra abbia consultato degli archivi; ha
conoscenze storico-geografiche e forse parlò direttamente con i protagonisti delle vicende di cui si occupa. La datazione seleucida fu in vigore fino a 1Mac 13,41 dove troviamo:
«Nell’anno 170 fu tolto il giogo dei gentili da Israele e il popolo di Israele cominciò a scrivere negli atti e nei contratti: “L'anno primo di Simone, sacerdote, comandante e capo dei Giudei”». Comincia una nuova era, il computo non è più greco.
e) I libri sacri
I libri della Legge che (1Mac 1,56-57) vengono distrutti, si ritrovano in 1Mac 12,9 come una realtà che fa parte integrante della vita cui sono di conforto. Questo versetto è una frase molto bella da tenere ben presente parlando della Parola di Dio. Il Libro è una forza vitale.
f) Lo stile
All’inizio del libro (1Mac 1,25-28.37-40) l’autore canta una «lamentatio», pezzo elegiaco pieno di reminiscenze e citazioni; chi legge avverte l’antico che diventa attuale. Alla fine invece (1Mac 14,4-15) troviamo un «inno» di lode al grande Simone per tutto quello che ha fatto con tutti i maccabei.
I fratelli maccabei hanno avuto un momento tragico, ma hanno trovato il coraggio di lottare con ogni mezzo, fino alla morte: prima Giuda morto eroicamente, poi Gionata, a questo segue Simone e da ultimo Giovanni Ircano che dà inizio alla dinastia asmonea e sotto il cui governo viene scritto il libro che stiamo esaminando e infine Aristobulo.

3. L’itinerario critico

Per affrontare il testo dal punto di vista della dinamica della violenza bisogna percorrere un itinerario critico, ponendosi dal punto di vista di coloro che nel libro sono i cattivi, i malvagi, gli apostati, i peccatori, secondo lo stile dell’autore che non usa nomi ma aggettivi. Attraverso alcuni elementi del testo si individuano una serie di ambiguità che il movimento rivoluzionario mette in pratica.

3.1) Il sabato (1Mac 1,45; 2,41)

L’osservanza dell’astensione dal lavoro era vietata dall’imperatore; i soldati greci, attaccano proprio di sabato i gruppi rivoluzionari rifugiatisi sui monti in caverne.
Si pone un caso di coscienza fondamentale: il sabato è uno dei valori fondamentali che si desidera difendere, si lasceranno uccidere per non violare il sabato, o lotteranno profanando il sabato per difenderlo?
Molti preferiscono morire piuttosto che profanare il sabato, ma diventa subito chiaro che persistere in questa scelta porta inevitabilmente allo sterminio di tutti; è necessario perciò, per la sopravvivenza, lottare anche di sabato se provocati.
Ciò prova che si difendono non la materialità del sabato in quanto tale, ma il diritto di poterlo osservare; in ultima analisi si difende la libertà religiosa. Non è un’ingegnosa casistica ma una corretta valutazione della causa per la quale lottano.
La soluzione di Mattatia e della sua famiglia è ragionevole; in definitiva il partito collaborazionista difende un relativismo dello stesso genere. Né i Maccabei furono coerenti, né i loro successori impararono la lezione. Un giorno si promulgherà un nuovo principio: «Non fu fatto l’uomo per il sabato, ma il sabato per l’uomo» (Mc 2,27).

3.2) I patti

Come si legge in 1Mac 1,2, alcuni «empi» propongono di far lega e intesa con le nazioni circostanti. Alcuni di loro chiedono al re usi greci quali una palestra; l’introduzione dello sport era un fatto scandaloso anche perché lo si praticava nudi.
Più che esprimere un giudizio sul contenuto del patto, qui occorre mettere in luce che l’autore vede «perversi» coloro che vogliono stipulare patti con qualsiasi altro. Ma al cap. 8 si legge che Giuda sente parlare di un popolo meraviglioso, gentile e nobile, i Romani; di essi l’autore canta le lodi. Esalta il modo in cui hanno sottomesso, soggiogato e distrutto i popoli che si erano loro opposti, esalta la loro forma di governo e addirittura propugna la stipula di un patto con loro! I patti qui non sono più una perversione!
Ecco l’ambiguità: quello che viene presentato con entusiasmo
è una forma di imperialismo che distrugge tutto quanto gli si oppone anche se in un modo abilissimo, appoggiando le ribellioni senza compromettersi, incoraggiando le aspirazioni di autonomia dei popoli minori, per indebolire i grandi e prenderne, successivamente, il posto.
Certamente, nella situazione concreta, ciò che pesa di più è la lealtà con gli alleati dimostrata dai Romani; anche se non sarebbe durata in eterno, sarebbe stata sufficiente per le necessità del momento. Viene quindi dichiarato e apportatore di gloria il patto militare stipulato da Giuseppe con i Romani, e poi rinnovato, perché si oppone a quello culturale stipulato con gli ellenisti. I Giudei però, solo due secoli dopo, avrebbero pensato ben altro dei Romani!

3.3) I partiti

Molto importanti sono i riferimenti e le ambiguità riferite ai gruppi che si formano in questo periodo e che avranno i loro discendenti nei partiti che si ritrovano al tempo di Gesù.
a) Un testo importantissimo è 1Mac 2,24-27; in esso la parola chiave è «zelo». È ciò che prova Mattatia per la Legge e tutti coloro che lui chiama a raccolta per formare il primo gruppo di rivoltosi: lo zelo è come il vessillo e il grido di guerra della ribellione armata. Da essi deriva il gruppo politico degli zeloti, violenti oppositori del collaborazionismo, attivo sotto la dominazione romana.
b) In 1Mac 2,42 è nominato il gruppo dei «Leali» o dei pii, dei chassidim (essi si proclamano leali e fedeli all’Alleanza). Se pure non ne presero l’iniziativa, si uniscono prontamente alla rivolta; si può presumere che fossero di questo partito coloro che consigliavano un’interpretazione
meno rigorista del sabato, dal momento che erano fedeli e osservanti ma non fanatici. In seguito questi chassidim prenderanno atto del tradimento della dinastia asmonea, che diventerà addirittura supercollaborazionista; non potendone più appoggiare la politica, se ne
distaccheranno. In ebraico il termine usato per distaccarsi è perash da cui perushim ovvero distaccati: sono i farisei del tempo di Gesù.
c) Un terzo gruppo non definito è formato da coloro che non hanno niente da perdere (1Mac 2,43) che si uniscono ai primi, come altri gruppi di cui si trova l’indicazione scorrendo il testo.
d) Ma c’è il gruppo più aperto alla cultura greca, il gruppo dei collaborazionisti, che con il tempo si fa sempre più secolarizzato, che ritroveremo sotto il nome di sadducei.
Il versetto 1Mac 2,44 ci fa riflettere su come si svolge la lotta.

3.4) La guerra civile

A questo tema si riferiscono tre testi: 1Mac 2,44-47; 6,22-26; 7,6, che dimostrano come non si tratti solo di una guerra combattuta contro i greci, ma di una vera e propria guerra civile contro un partito che intende la religione e la tradizione in un modo diverso: è un vero e proprio scontro ideologico all’interno del popolo ebraico. L’esercito formato da «tutti coloro che per il malessere si erano dati alla fuga», cioè da gente che soffre perché sfruttata, sotto la guida di Mattatia, batte «nella loro collera i peccatori» che non sono i Greci ma altri Giudei, si scaglia contro tutta quella gente semplice che per timore non ha circonciso i propri figli, rappresentata dalla maggior parte del popolo il quale può simpatizzare
con coloro che vincono, non con i violenti.
L’autore di 1Mac 6,22 chiama «rinnegati» gli ebrei dell’altro schieramento che ricorrono al re per avere protezione in quella che non è più una guerra religiosa, ma un vero e proprio scontro fra due opposti schieramenti giudaici. Le accuse, anche se non tutte vere, sono molto esplicite e chiare.

3.5) La morte di Giuda

È una narrazione (1Mac 9,1-22) nella quale una lettura attenta scorge quello che l’autore tace visto che vuole circondare la morte del suo eroe di tutti gli onori e le giustificazioni necessarie.
Giuda ha già vinto due battaglie, la compattezza del suo gruppo e la sua conoscenza del territorio lo avevano reso superiore ai mercenari stranieri sia pure più numerosi: ma la sproporzione numerica non conta se c’è la protezione di Dio. Il suo stato maggiore è del parere di ripiegare strategicamente, come avevano già fatto più volte, aspettando un momento più favorevole.
Ci sono due dati che sembrano spiegare il perché la logica militare in quel caso fu sbagliata: la diserzione di molti e lo scoraggiamento del capo (1Mac 9,6-8). È vero che la diserzione aumenta alla vista della preponderanza del nemico, ma forse già fermentava in molti a causa del nuovo regime di tolleranza religiosa. Perchè lottare e rischiare la vita? Non avevano forse conseguito l’obbiettivo propostosi? Alcimo, l’altro sacerdote di linea aronida, non offre forse un’alternativa preferibile?
Una volta accolto, il dubbio rimane dentro in silenziosa incubazione: Giuda non riesce a dissiparlo, dubita di se stesso, e non convince più come prima. È sicuro di poter portare avanti la lotta? Potrà continuare a persuadere i suoi fino alla vittoria?
Certamente stima che l’alternativa proposta dai suoi soldati non è sicura; se si ritirano ora e aspettano, il partito di Alcimo può consolidarsi e quella della resistenza sciogliersi; se cede alle diserzioni e a quanto suggerito da una timorosa prudenza, mina definitivamente la fiducia e l’entusiasmo; se ora rischia può avere una probabilità in più. E se muore lascerà un esempio, un motivo di ispirazione per la loro causa: un martire, in certi momenti, può avere una grande forza di convinzione. Questa è la logica delle sue parole: «Se è giunta l’ora di morire...».
Aveva il potere di rimandare questa ora ma decide di morire per i suoi compatrioti: essi hanno bisogno di un esempio di estremo eroismo, non di prudenza; che una tale prudenza sia garantita da Alcimo e dai suoi! Così l’autore vede Giuda.
La battaglia, vista con gli occhi dei nemici, si svolge in un ripiegamento tattico che attira il nemico lontano dalle sue posizioni e ne consente l’accerchiamento con la cavalleria. È una trappola nella quale un capitano esperto non avrebbe dovuto cadere.
La battaglia vista dal narratore è una spettacolare vittoria su di un’ala dell’esercito nemico, ottenuta da 800 su 10.000, seguita da una lotta ingaggiata contro l’altra ala, fino alla morte. L’autore con la sua descrizione conferisce una solennità classica a questa battaglia con lo scopo di
glorificare il capo.
Non dice però come i fratelli ottennero il cadavere. Per concessione di Bacchide? Il generale siriano avrebbe potuto giudicare chiusa la lotta ed evitare di accanirsi sui pochi ribelli rimasti. Se il cadavere fosse stato riscattato con un atto di valore temerario, come per il cadavere di Saul (1Sam 31,11-13), l’autore ce lo avrebbe raccontato. D’altra parte, come alla morte di Mattatia, anche qui è «tutto Israele» a piangere Giuda, come se quelli del partito ellenista non appartenessero a Israele. Del resto, il grido: «Come è caduto l’eroe salvatore d’Israele» è ispirato
all’elegia di Davide per Saul e Gionata (2Sam 1,19.27) e viene impiegato il titolo «salvatore di Israele» usato per molti Giudici. Giuda è il grande eroe della resistenza: la sua morte effettivamente rianimò lo spirito della lotta, grazie alla quale si realizzò il nuovo regno.

3.6) Il sommo sacerdozio

Era una carica molto ambita che in Israele spettava ai membri della tribù di Levi, per ottenere la quale, sempre rimanendo nella legittimità, si era disposti a pagare. Il maccabeo Gionata non poteva certo aspirarvi, ma se la vede offrire con una lettera (1Mac 10,17-21).
Da tale carica Gionata avrebbe potuto consolidare la linea del suo partito conferendole garanzia di legittimità, avrebbe influenzato gli indecisi. Ma a quale prezzo? A condizione di accettare la nomina, religiosa, da un re pagano. Non è una contraddizione. Non è da seguire l’esempìo di Alcimo? Gionata accetta! Né lui né l’autore del lìbro hanno scrupoli: l’elezione è un privilegio di Dio, l’uomo ne è solo l’esecutore; i fatti provano la elezione divina.

3.7) La dittatura (1Mac 14,41-49)

È quella che conclude la lotta. Ottenuta la vittoria comincia un’era nuova; tutti i poteri di capo supremo delle forze armate, governatore supremo della nazione e sommo sacerdote sono nelle mani di Simone che diventa così un sovrano assoluto; è una monarchia di tipo orientale e non romano in cui il senato bene o male affianca l’imperatore! Dopo tanti anni di lotta si diventa indipendenti dallo straniero... ma schiavi di un dittatore liberamente eletto.

4. I dubbi ed i giudizi

Vi sono validi motivi per esprimere, in complesso, un giudizio positivo sull’azione dei Maccabei che in un momento di grave crisi seppero agire, lottare e morire fino all’indipendenza. Ma una lettura critica insinua il dubbio su chi fossero i buoni e chi i cattivi: se i ribelli o i sottomessi.
Anche nel testo serpeggiano delle incertezze. In 1Mac 4,44; 14,41s., si esprime la necessità di un profeta che interpreti il presente, che possa dire cosa fare delle pietre dell’altare poste da Neemia e consacrate da un secolo di sacrifici legittimi, ma macchiate da tre anni di profanazione; un profeta che possa dire cosa fare di un capo e sommo sacerdote nominato dal popolo (1Mac 9,27).
È forse l’aspetto più drammatico della vicenda: l’assenza di profeti interpreti autentici della storia presente; in loro sostituzione restano i libri sacri che ambedue, collaborazionisti e ribelli, ugualmente leggono, ma non ugualmente interpretano e quindi non sono sufficienti a indirizzare
l’agire.
«Finchè sorga un autorevole profeta» dice l’autore. È un atto di umiltà importantissimo perchè esprime la disponibilità a sottoporre anni di lotta e sacrifici, tutta la propria opera al giudizio del profeta.
Ma questi non viene! È la storia a giudicarli ed è un giudizio duro. Quella dei Maccabei è stata un’impresa eroica certo, ma per molti aspetti violenta e fratricida; inizia con una divisione e termina nella spietata e alla fine odiata dittatura degli Asmonei. È un eroico fallimento!
Ma un giorno arriva il Profeta che non porta una parola di Dio, ma che è Parola di Dio, che si viene a trovare tra fanatici, leali farisei e sadducei, ma non prende nessun partito. Assume lo statuto della non violenza che lo porterà alla distruzione, e morendo farà vincere l’amore. Se avesse lottato avrebbero vinto la forza e l’odio, invece, anche se per questo è necessario il sacrificio, deve vincere l’amore. Questa è la risposta del Profeta al libro dei Maccabei.
A noi cristiani tocca una meditazione, all’interno della Chiesa, sui temi dell’aggressività e dell’amore, dei partiti o non partiti; ai non credenti e ai non cristiani tocca una riflessione sul giudizio della storia.
                
DIBATTITO A PROPOSITO DELL' «APPROFONDIMENTO CULTURALE» - XXXIII
"IL FALLIMENTO DELLA VIOLENZA NEI MACCABEI"
UN LETTORE CI SCRIVE

Ho letto nel Notiziario di Biblia n.2/2004 l’articolo di Luis Alonso Schoekel su «Il fallimento della violenza nei Maccabei».
Come cattolico, dovrei accettare la presenza di 1 e 2 Mac nel canone dei libri sacri: cosa che mi lascia molti dubbi, anche pensando all’influsso che la Bibbia dei LXX, la Vetus Latina e la Vulgata hanno esercitato sul Concilio di Trento. Mi lascia molti dubbi per la «quantità di sangue», di intrighi politici e di sfruttamento della religione che essi presentano.
La mia perplessità è accresciuta dall’articolo in questione, anche perché lo stesso articolo da un lato riduce e secolarizza la santità delle imprese maccabaiche, dall’altro è occasione di una «presa di distanza» dal giudaismo medio (come lo definisce Gabriele Boccaccini), che sembra, secondo Alonso, riscattarsi solo in prospettiva cristologica.
In sostanza, una lettura critica non solo dei libri ma della storia narrata può essere accusata di antigiudaismo?

                                                    Francesco Ferrari (Milano)

RISPOSTA DI PAOLO DE BENEDETTI

Le domande poste dal lettore sono molto pertinenti e non si possono certo liquidare con una lettura «sacrale» o «patriottica» di questi due libri (che tra l’altro sono di provenienza diversissima, il primo č scritto originariamente in ebraico o aramaico in Palestina, il secondo in greco nella diaspora). Anche l’articolo di Alonso si presta a riserve, come il lettore ha accennato. A noi sembra che chi prescinde da una eventuale canonicità dei due libri debba avere la stessa  libertà che il metodo storico-critico applica ai libri canonici. A nostro parere, se la rivolta maccabaica è stata un grande evento religioso e politico, che ha certamente influito in modo determinante sull’evoluzione del giudaismo, è anche vero che la dinastia asmonea si è mossa molto spesso secondo logiche di potere e prepotenza, ed è andata degenerando fino al vergognoso traffico del Sommo Sacerdozio (che non avrebbe potuto essere assunto da sacerdoti non saddociti) e alla sanguinosa persecuzione dei farisei da parte di Alessandro Ianneo, per giungere infine, sempre per liti dinastiche, a chiedere quello che – con espressione sovietica – possiamo chiamare «l’aiuto fraterno» dei romani. Insomma, per dirla con linguaggio moderno, da Garibaldi a tangentopoli.


Alle CHICCHE