21-28 o 21-31 ottobre 2003 Dietro richiesta di molti Soci, Biblia propone anche per quest'anno un viaggio di studio. Ancora non ci sentiamo di avventurarci nel Medio Oriente, perciò proponiamo di tornare, dopo molti anni, in Turchia. Il programma, oltre che per i contenuti stampati qui di seguito, è di alto profilo pure per altre ragioni. In primo luogo perché sarà con noi, per tutto il periodo, il prof. Franco Cardini, notissimo medievalista e profondo conoscitore della civiltà islamica, che animerà l'intero aspetto culturale del viaggio. In secondo luogo il prolungato soggiorno a Istanbul consentirà di incontrare eminenti personalità locali che illustreranno aspetti politici, religiosi e artistici del paese. Infine l'Hotel Romance (sito web: www.romancehotel.com) che ci ospiterà a Istanbul è in pieno centro storico ed estremamente confortevole, inoltre sono previsti due pranzi in ristoranti molto particolari: l'Orient Express e il Pera Palace. Il costo del viaggio corto (Istanbul e dintorni), è di 835 euro a testa in camere doppie o di 985 euro in singola; il costo del viaggio lungo (Istanbul e Cappadocia), è di 1085 euro a testa in camere doppie o di 1280 euro in singola. Chi desidera partecipare, dovrà inviarci una iscrizione di massima, insieme a 100 euro a testa, appena possibile, perché abbiamo bisogno di sapere al più presto quante persone sono interessate. In caso di rinuncia entro la fine di maggio, l'intera somma versata vi sarà restituita. La seconda parte della quota, pari alla metà del costo meno i 100 euro già versati, dovrà pervenirci entro la fine di maggio, mentre vi chiederemo il saldo entro il mese di agosto. PROGRAMMA 1° GIORNO MILANO – ROMA/ISTANBUL 21 ottobre
martedì 2° GIORNO ISTANBUL 22 ottobre mercoledì 3°GIORNO ISTANBUL 23 ottobre giovedì 4° GIORNO ISTANBUL 24 ottobre venerdì 5° GIORNO ISTANBUL/Nicea/BURSA 25 ottobre sabato 6° GIORNO BURSA – BURSA/Cannakale/EDIRNE 26 ottobre domenica
7° GIORNO EDIRNE/ISTANBUL 27 ottobre lunedì 8° GIORNO ISTANBUL/ANKARA/CAPPADOCIA 28 ottobre martedì
Per chi prosegue per la Cappadocia: pensione completa. Trasferimento in aeroporto e partenza con volo di linea della Turkish Airlines TK 116 per Ankara alle ore 08.50. Arrivo alle ore 09.50. Visita del museo delle Civiltà Anatoliche (Museo Ittita). Visita del Mausoleo di Atatürk padre della Turchia moderna. Nel pomeriggio partenza per la Cappadocia via Lago Salato. Pernottamento in hotel. 9° GIORNO CAPPADOCIA 29 ottobre mercoledì 10° GIORNO CAPPADOCIA/KAYSERI 30 ottobre giovedì
11° GIORNO KAYSERI/ISTANBUL/ROMA – MILANO 31 ottobre venerdì
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«L’aria di Costantinopoli
è incostantissima, onde in un giorno medesimo si sente bene spesso
gran caldo e gran freddo». Così scriveva Pietro Della Valle in una lettera a Mario Schipano il 25 ottobre del 1614. A quasi 400 anni di distanza – in questo ultimo viaggio di Biblia – non possiamo che convenire su questa constatazione climatica del grande e curioso viaggiatore che dopo Istambul proseguì il suo viaggio, fino a raggiungere il Cairo, Gerusalemme, Damasco, Baghda’d, Isfahàn e poi tutta la costa nord occidentale dell’India fino a Goa prima di far ritorno a Roma, ma sempre scrivendo e inviando lettere su ciò che vedeva e incontrava nel viaggio. Anche il viaggio di Biblia in Turchia è partito dal punto in cui ci avrebbe condotto quella stessa via Egnatia che avevamo lasciato tre anni fa dalle parti di Salonicco. Costantinopoli-Bisanzio-Istambul è dunque il punto d’arrivo e di incrocio per Della Valle come per tanti altri viaggiatori e mercanti prima e dopo di lui, verso le tante diramazioni delle vie della seta, posta com’è all’incontro fra gli affacci marittimi a controllo delle rotte tra Mediterraneo e Mar Nero, fra gli itinerari continentali provenienti dai Balcani e dall’Asia minore. Colonia megarese prima, poi centro ellenistico-romano, dopo la rifondazione costantiniana diventa espressione urbanistica del rafforzamento della presenza dell’autorità imperiale verso quell’Oriente e quel Mediterraneo orientale che diventeranno per millenni linea di confronto politico e militare – ma anche di scambi e tappe di viaggi scanditi da caravanserragli e fondachi – tra il mondo persiano-sasanide prima, arabo poi e infine ottomano con quello romano e bizantino con le repubbliche marinare di Genova e Venezia che a cavallo del Corno d’Oro e dalle alture di Galata stabiliscono alcuni dei loro terminali commerciali (e piazzaforti militari) verso l’Oriente. Una sistemazione urbanistica – e prima ancora nella scelta del sito geopolitica, diremmo oggi – che da Costantino a Giustiniano a Teodosio II hanno lasciato più di una traccia nel tessuto abitativo caratterizzato ancora oggi da uno schema a Y coricato lungo l’asse delle penisola avanzata tra Corno d’oro e Mar di Marmara: oltre alla suggestione di Santa Sofia per tutto lo sviluppo dell’architettura ottomana, resta la ricchezza e abbondanza di monumenti e di reperti archeologici: l’acquedotto di Valente «fiume sotterraneo e aereo» le cui arcate marcano il paesaggio urbano, la Cisterna basilica (Yerebatan Sarayi), le imponenti cortine di mura a difesa, i resti degli obelischi nello spiazzo dell’Ippodromo, Sant’Irene, Salvatore in Chora e l’incomparabile finezza dei suoi mosaici. Ma è Santa Sofia (Aya Sofya) a proporre uno schema basilicale coperto da un’immensa cupola centrale: cupola in cui l’armonia delle proporzioni è metafora della suprema Divina Armonia, e la luce che irrompe dalle 40 finestre della cupola è quella della Divina Sapienza che illumina le menti dell’imperatore e del patriarca. Il messaggio architettonico rivolto alla capitale viene dunque affidato – più che allo spoglio aspetto esteriore – alla smisurata cupola, come avverrà poi per il nuovo centro del paesaggio urbano, la Süleymaniye Cami costruita da Sinan tra il 1550 e il 1557 che ha comunque in Santa Sofia l’ideale modello da eguagliare e superare. Un intervento esplicito fin da un secolo prima, il 29 maggio del 1453, quando Mehmet II, appena entrato a Costantinopoli, con un atto di grande valore simbolico dà ordine di trasformare Santa Sofia in moschea: la cattedrale dell’antico impero viene consacrata alla nuova fede, coronamento di un sogno inseguito per otto secoli (come simbolica sarà nel 1935 la trasformazione in museo della moschea, voluta questa volta da Atatürk). Ma, appunto, l’ambizione si spingeva oltre; come oltre, verso i Balcani, l’Europa centrale e il Mediterraneo occidentale si spingeva l’ambizione imperiale del nuovo stato: l’immensa basilica costituiva allora una sfida per il nuovo regime il cui prestigio imponeva di emulare e superare l’illustre modello. L’architettura ottomana nella sua prima fase – quella che abbiamo incontrato nel viaggio a Iznik e Bursa - mantiene ancora una mescolanza di elementi di origine selgiuchide (l’Ulu Cami di Bursa), o di derivazione persiana (le bellissime piastrelle della Yesil Cami) se non centro asiatica (le tombe monumentali). Ma con la conquista di Costantinopoli e il formarsi di un grande impero – e anche il venir meno dell’influenza derviscia – la grande moschea imperiale del venerdì inizia ad adottare una forma fissa, diventando il centro di grandi külliye con madrase multiple, cucine, mense per i poveri. Prevale la logica e l’ordine «classico» che coincide con l’opera del grande Sinan, architetto europeo (di origine greca, forse armena) alla Sublime Porta. Ma se la spazialità dell’architettura religiosa bizantina si esprime in una insondabile e misteriosa penombra misticamente illuminata e percorsa da raggi di luce che rimbalzano sulle superfici dorate dei mosaici come quelli del nartece di San Salvatore in Chora (che sono più o meno coevi agli affreschi di Assisi), o di ciò che resta a Santa Sofia, o filtrata dalle colonne delle gallerie laterali o dei matronei che creano effetti di cortina, Sinan, in modo sorprendentemente analogo a quanto avveniva nell’architettura rinascimentale italiana, ricorre a masse murarie esibite con chiarezza, inondando lo spazio interno di una luminosità che è insieme immagine del Paradiso raggiunto dal credente e forma visibile della raggiunta potenza dell’impero. Dopo aver elaborato nella Eyüp Sultan Cami (1458: cinque anni dopo la conquista) i nuovi e autonomi miti delle origini della nuova Istambul – siamo sul luogo della sepoltura di uno dei compagni del Profeta morto sotto le mura di Costantinopoli nel primo assedio arabo alla città e uno dei luoghi sacri dell’Islam – l’arte, ma soprattutto l’architettura, diventa a Istambul forma visibile della politica imperiale del nuovo stato Ottomano. Lo diventa, dopo le sperimentazioni della Yesil Cami di Iznik, nella ricerca di un’unità spaziale controllata dalla grande cupola che inizia a costituire la principale preoccupazione del linguaggio architettonico ottomano, alla cui definizione dovettero contribuire in questo caso anche maestranze bizantine o armene, oppure i materiali di recupero (capitelli e architravi) provenienti da edifici classici. A Bursa invece le tombe monumentali per la sepoltura dei sovrani e dei signori – seppur ampiamente ricostruite dopo i diversi terremoti che le danneggiarono nel corso dei secoli – rappresentano il segno più evidente del retaggio nomade che i turchi Selgiuchidi portarono dall’Asia centrale fin quasi sulle sponde del Mediterraneo. Così a Kayseri, il Döner Kümbet (1257) e le altre tombe: costruite su base poligonale, con tetto conico o piramidale (e la stanza interna con soffitto a cupola) richiamano forme (ma non i colori) di edifici analoghi dell’Asia centrale. Passato sulla sponda europea e conquistata l’antica Adrianopoli, Murat II volle costruire a Edirne, nella nuova capitale (dal 1361 al 1453), con la Uç Serefeli Camii (Moschea delle tre loggette) un edificio che iniziasse appunto ad esprimere quell’ideologia imperiale che diventa poi la principale preoccupazione della ricerca architettonica ottomana, ma che ancora conserva influenze timuridi (i quattro diversi minareti) e selgiuchidi (in quello spiraliforme). A Edirne troviamo il Beyazit külliyesi (1484) un complesso a fini caritativi, formato da vari gruppi di edifici disposti con grande libertà architettonica attorno a uno spazio aperto, voluto da Bayazid II, molto legato agli ordini dervisci, come ospedale per malati di mente da curarsi attraverso la musica e i profumi (forse residuo di persistenze sciamaniche portate fin qui dalle steppe), ma anche come scuola di medicina e mensa per i poveri. Una concezione dello spazio nella disposizione degli edifici che prelude alla grande libertà con cui verranno disposti quelli del Topkapi, non in un complesso edilizio di Palazzo unitario bensì articolato in una sequenza di edifici, loggette, spazi verdi e giardini con fontane e percorsi d’acqua, aggregati di aule, cucine, portici, harem, terrazze, aperte verso la scena marittima. Un percorso dell’architettura ottomana che si conclude, sempre a Edirne, nel capolavoro dell’ottantenne Sinan: nella Selimiye Cami costruita (1569) per Selim II. Sinan sulla frontiera europea concepisce uno dei più impressionanti esempi di staticità, nella sua assoluta simmetria, dell’architettura ottomana e di tutta l’arte islamica. Quattro minareti identici (83 metri) che raccordano verso l’infinito la cupola che emerge dal tamburo ottagonale: una staticità architettonica che esprime, nella pietra, la negazione della possibilità di svolgimento una volta raggiunta la rivelazione del divino. Quindi il viaggio di Biblia prosegue verso la Cappadocia con le sue le città sotterranee e le chiese rupestri scavate nella roccia secondo una tecnica diffusa in tutto il bacino del Mediterraneo: Matera innanzitutto, le chiese rupestri di Massafra, Palagianello, San Vito dei Normanni, Fasano – ma anche i monasteri delle Meteore come avevamo visto in un precedente viaggio di Biblia – ripetono sui due lati del Mediterraneo modelli costruttivi e culture abitative, filoni del monachesimo, espressione di una unità geografica e di scambi lungo rotte marittime e terrestri, ma ancor prima di climi (il tufo vulcanico presenta notevoli qualità di isolamento termico verificate nella visita alla valle di Göreme coperta da una intempestiva e fin troppo pittoresca nevicata), e di problemi di regimentazione e conservazione delle acque tanto occidentali che orientali. Chiese e ipogei dei monaci forniti di sistemi idrici per alimentare le vasche; la raccolta delle acque e del guano dei colombi (dice qualcosa la Valle dei Piccioni?) permettevano l’organizzazione di orti e giardini, la coltivazione di piante da frutta (gli albicocchi) nei fondovalle. Ultima parte del viaggio, il magnifico caravanserraglio di Sultan Han (1249) in Cappadocia usato per la cerimonia dei Dervisci rotanti e uno dei maggiori realizzati dai Selgiuchidi in Anatolia secondo uno schema costante: ampio cortile interno su cui si aprono ambienti che ospitano servizi e stanze; un secondo corpo, di minori dimensioni, coperto suddiviso in cinque navate, con archi a sesto acuto e cupola centrale come in una basilica cistercense con la quale presenta sorprendenti e impressionanti analogie. Un viaggio dunque alla scoperta di un diverso, in cui, come sempre, abbiamo ritrovato tracce di forme, segni, simboli che sono pure nostri. Giovanni Peresson
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