relazioni sui seminari estivi 2009

 

- «prendi il libro e inizia a conoscere: un’introduzione alla Bibbia»

19-21 agosto

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nicoletta leone barbieri

 

   I soci di Biblia, molti di lungo corso (alcuni di lunghissimo), che si trovano a Cantalupa per il seminario Prendi il Libro e inizia a conoscere: un’introduzione alla Bibbia, devono certo credere nel futuro alle spalle (così il Mulino intitolava la raccolta in italiano di importanti saggi della Arendt). Perché se è vero che conoscenze pregresse sono di gran vaglia e consolidate, è anche vero che, trattandosi di scritture bibliche, hanno bisogno di una verifica costante, alla luce di rinvenimenti nuovi, storico-archeologici, testuali e, spesso, di nuovi modelli di esegesi. Il Libro ha una immensa tradizione “canonica”,  ma anche apocrifa (tradizione nascosta suona, in originale, il  titolo arendtiano). A voler azzardare un’etimologia alla maniera di Isidoro di Siviglia (si parva...), si potrebbe argomentare che Scripturae è participio futuro, quindi significa che sulla Bibbia molte cose ancora “dovranno essere Scritte”.

   A cominciare dal rovesciamento di quanto appena detto, perché, come Paolo De Benedetti precisa nella sua lezione preliminare Il grande messaggio della Bibbia, la Scrittura è prima di tutto miqra’, ossia lettura a voce alta e ha a che fare con l’ascoltare; l’uomo greco, in un disegno di un suo vecchio scolaro – dice –  ha grandi occhi; ma quello ebreo ha grandi orecchie. Shema‘ Israel... Inutile dire che con Paolo (di Asti,  non di Tarso, ci tiene!) ascoltare è attività densissima e con lui, tutti assieme facciamo grandi orecchie alla Torà («Cosa significa Fare le orecchie alla Torà? - scrive Milka Ventura nel suo libro, che titola appunto dal quesito - Fra le molte metafore con cui un noto midrash loda l'opera dell'ermeneuta, c'è quella di un pentolone bollente che non si può maneggiare finché qualcuno non gli fa un paio di maniglie, che in ebraico si dicono oznajim, come le orecchie - Ma il midrash fa anche qualcosa di più: rende quel Libro non solo leggibile e intelligibile, ma anche intelligente; non solo fruibile - con le maniglie -, ma anche capace di ascolto - con le orecchie -. E infatti midrash significa innanzitutto interrogazione e domanda, sollecitazione, provocazione e ricerca di un senso che si rinnova e non si esaurisce»). De Paulo fabula narratur..., no?

   Alcune sue riflessioni toccano la revisione della traduzione CEI, cui pure ha collaborato, ma senza vedere accolti tutti i suggerimenti o proposte di correzione (d’altra parte già Luca Mazzinghi aveva affrontato in un suo intervento – anche a stampa su questo Notiziario, n. XLVII, 1,2009 – quale enorme lavoro abbia comportato la revisione, e come, e quanto, la lettera abbia spesso dovuto abdicare alla leggibilità liturgica o ad altre mediazioni irrinunciabili). Così, ad esempio, in Esodo 24,7 è rimasto: «Quanto il Signore  ha ordinato, noi lo faremo e lo eseguiremo!». Nel testo ebraico ci sono i verbi fare e ascoltare che non sono certo sinonimi e, anzi, la distinzione è importante, uno dei capisaldi dell’ebraismo: l’ortoprassi, il ben fare innanzi tutto. Poi l’ascolto. L’ascolto di una voce che è Qol demamà daqqà (1Re 19,12), cioè voce di silenzio sottile (non nel vento, non nel terremoto, non nel fuoco, ma nemmeno nel «mormorio di brezza leggera» - traduzione conservata nella nuova CEI - perché allora, aggiunge PdB, tanto varrebbe tradurre spiffero…). Piacerebbe riportare altri loghia di Paolo, anche detti a parte, alcuni ironicamente («Jezebel, la “madre” della regina Isabella di Castiglia»), altri dolorosamente («il caprone che piange la morte del figlio, sacrificato al posto di Isacco»), ma più amabile per chi non c’era credo sia, anche in questo caso, un ascolto dalla sua voce che, assieme a quella degli altri relatori, è stata incisa nelle registrazioni dal giovane gruppo di Effatà (editrice in Cantalupa), che ha realizzato, e renderà disponibili, i DVD.

   Il biblista Daniele Garrone fa il punto su Bibbia ebraica e Bibbia cristiana: la formazione dei canoni, censendone anche lingue di composizione e principali versioni. Ci ragguaglia con chiarezza su differenze tra edizione critica (condotta su numerosi testimoni per il NT) ed edizione diplomatica (quella che, in un certo senso, è l’AT esemplato sul codice di Leningrado, textus receptus, tuttavia già frutto di interpretazioni masoretiche). Se ho capito bene, però, i recenti ritrovamenti a Qumran sembrano non troppo disallineati dalla tradizione della Septuaginta (quindi la partita, spesso accesa, dell’autorevolezza dell’una o dell’altra tradizione per maggiore o minore vetustà, potrebbe anche non avere troppo senso. Senza dimenticare poi il monito del grande filologo Giorgio Pasquali: talvolta recentiores non deteriores...).

   A Garrone succede nel pomeriggio rav Luciano Caro, che presenta Una lettura dalla Torà: i dieci comandamenti. Con la consueta maestria alterna teoretica e precetti con motti arguti e alcuni witze che a lui, israelita, è lecito raccontare – così come solo l’esprit intelligente di Cyrano sa, e può, scherzare sul suo impossibile naso. Da par suo, insomma, riesce a prendere per le corna (o erano raggi di luce?) un Mosè lento di lingua, lo ish devarim, e a farlo oggetto di una erudita, ma godibile all’ascolto, affabulazione. Anche Ettore Franco, che si sofferma su Bibbia ebraica (Pentateuco, Profeti, Scritti), propone alcune immagini, non così consuete: per esempio, una prospettazione del Tanak, i cui libri sembrano disegnare bracci di una virtuale menorà: in tal modo, anche un elenco, un canone, riverbera la luce del Sacro. Dopo altre relazioni sul Primo Testamento (Una lettura da Isaia ancora di Ettore Franco e una miqra’ del Salmo 106 di PdB), prima di passare alle Scritture evangeliche, il gruppo sempre con il futuro alle spalle - dacché non crede alla teologia della sostituzione, si mette in cammino (per la precisione, supportato da un comodo pullman) in direzione Saluzzo, poi Castello della Manta, dove - tra effigi di prodi ed eroi e di fontane della giovinezza - c’è modo di pescare una perla, che piacerebbe tanto inviare in dono all’Onorevole (?) secessionista padano: con l’intento di giustificare la crudeltà mostruosa di quel Gualtieri di Saluzzo, abusatore della povera Griselda della novella di Boccaccio, Tommaso III di Saluzzo ne ha congegnato quello che oggi chiameremmo prequel (più o meno la storia di un uomo indurito da un precedente di corna subite). Ma non è tanto questo il fatto gustoso, quanto il fatto che esista una Griselda polacca che, voltata dal latino della versione petrarchesca della novella, fa sgorgare il fiume Po, invece che dal Vesullus/Monviso, nientemeno che dal Vesulus/Vesuvio: «Nella terra d’Italia, verso l’occidente, si erge il Vesulus, monte famoso, vicino a Napoli, sì alto da superare col vertice le nuvole. Vi si fabbrica l’olio e i vini ottimi che i Romani chiamano vin greco. Da quel monte verso l’oriente sgorga il fiume Po [...]». Che meraviglia…

   Il giorno dopo si riprende con Il Nuovo Testamento (Vangeli, Atti, Lettere, Apocalisse) di Emilio Salvatore, che poi continua con Una lettura dai Vangeli: le beatitudini.

   A Piero Stefani il compito di parlare di Paolo (e stavolta non di Asti, ma di Tarso, che è cosa sempre irta di difficoltà). Tuttavia la sua lettura attenta, lenticolare, di Galati 1-2 mette a fuoco alcuni dettagli che non sono di poco conto (anzi, sappiamo bene che il divino lì, nel dettaglio, dimora volentieri). In Galati 2,9 ci sono Giacomo e Ceca e Giovanni, che son reputati colonne, e danno a Paolo e a Barnaba la loro destra in segno di comunione, perché vadano verso i gentili. Ma perché l’assenza di Tito, incirconciso? Impossibile per lui è l’annuncio della Parola?

   Clementina Mazzucco compie una ricognizione amplissima sui Principali metodi interpretativi. Il digesto di tutta la possibile ermeneutica non si presenta, a tutta prima, accattivante e lei, scherza, non ha pronti storielle o witze che possano muovere il discorso… Ma il discorso è invece ben mosso, anche da una serie di puntini sulle i («neppure uno iota o un apice…») su testi fraintesi o, forse, volutamente resi oscuri. Nella nuova CEI, a Romani 16,1 di Paolo non si parla di diaconesse, poi, improvvisamente, nella lettera a Timoteo c’è il rimando alle «diaconesse» di Rom. 16,1…

   Approcciando il metodo interpretativo della «storia degli effetti», ne segnala l’efficacia laddove, per esempio nel caso della Maddalena, un’analisi della ricezione della Bibbia, dell’impatto sulla letteratura, sull’iconografia, ecc., consente di rilevare la grave distorsione operata su questa seguace di Gesù. Chi oggi – si chiede Clementina Mazzucco – riesce a dissociarla pregiudizialmente dalla peccatrice?

   L’ultimo giorno del seminario coincide con la vigilia dell’apertura del Sinodo delle chiese valdesi e metodiste. Siamo a Torre Pellice, con Daniele Garrone che ci accoglie nella sala, sotto lo sguardo severo, ma che animo grande!, del generale Beckwith. Ci parla della Ricerca storico-critica attuale sul Pentateuco e poi ci lascia nelle mani (cortesi e capaci) di giovani studiose, conservatrici del museo che ci guidano nell’itinerario storico dei valdesi: storie di coraggio, di persecuzioni subite, segregazioni che non li hanno piegati, gloriosi rimpatri; uno sguardo sempre in avanti, un attaccamento progressista alla tradizione, un bellissimo, anche per loro,  futuro alle spalle.

   Piccola postilla semiseria: concludo un po’ frettolosamente questo memoir un po’ confuso, non riesco nemmeno a rileggere (sono in partenza per l’Egitto copto sempre con Biblia). Chiedo scusa ai lettori del Notiziario se non è tutto chiarissimo, ma davvero invito a procurarsi i DVD, perché le relazioni sono state notevolissime, il torto semmai è averle qui un po’ centonate. Chiedo scusa anche ai relatori se non ho perfettamente compreso le loro parole (che anch’io vorrò riascoltare in registrazione). E infine: chiedo scusa di chiedere scusa… sarà che s’approssima Yom Kippur? Ma il Signore ci conceda il suo perdono buono.


 

« Prendi il Libro e  studia: nuove tendenze della ricerca biblica»

23-36 agosto

 

mirko boni

 

   Penso che il buon Pascoli non si offenderà se mi permetto di parodiare bonariamente l’ incipit di Solon:

                  Triste è il Simposio senza Agnese, come

                  tempio senza votivo oro di doni…                

   Recuperando la serietà che si addice a un seminario di Biblia, non si può comunque non rimarcare come un impalpabile velo di nostalgia aleggiasse sul nostro gruppo, pur senza scalfire il consueto impegno nel seguire il ponderoso programma e contribuire con appassionati interventi a scavare in profondità le varie relazioni. E va riconosciuta la discreta e meticolosa sovrintendenza di Paola e il generoso supporto di Matteo, sempre disponibile col sorriso sulle labbra in ogni occorrenza. Senza dimenticare infine l’ambiente grazioso e accattivante di Cantalupa e l’amabile senso di ospitalità dei suoi cittadini.

   Venendo al contenuto della II parte del seminario estivo 2009, cercherò di estrarre dalla mia scarsa competenza qualche linea guida tra i moltissimi insegnamenti e le provocanti sfide riversatimi addosso dalle tredici relazioni, come di prammatica sempre incisive e coinvolgenti (per non parlare degli impegnativi fuori-programma). Perché addentrandosi tra le “nuove tendenze della ricerca biblica”  si va subito nel difficile, anche per dei dilettanti esperti, quali sono generalmente i soci di Biblia. Le relazioni possono grossolanamente dividersi in due gruppi, e cioè da un lato l’ esposizione di nuovi metodi di analisi critica e di ricerca storiografica; dall’altro alcune esemplificazioni dei metodi stessi su brani particolarmente “popolari” dell’Antico e del Nuovo Testamento.

   Nel primo gruppo si possono annoverare la serie di relazioni che riguardano la formazione e la delimitazione del canone ebraico, soprattutto per quanto riguarda i tempi e i modi della fissazione del testo e la progressiva selezione tra testi “canonici” e testi “apocrifi”. I professori P. Capelli e C. Martone hanno messo in luce i molti problemi che ancora si pongono per un’autentica e completa comprensione della storia del testo, tenendo conto dei molteplici centri di studi biblici esistenti nell’ ebraismo del I e II secolo e. v., e dei contemporanei contributi degli autori e dei primi teologi del Nuovo Testamento. Una rassegna particolareggiata dell’influenza della letteratura apocrifa nel Nuovo Testamento è stata presentata in due riprese dal prof. E. Norelli. È stato interessante apprendere quanto ancora ignoriamo sulle circostanze (a volte di mera casualità) che hanno portato un testo all’espunzione dal canone. Ancora a questo gruppo appartengono la prima parte delle lezioni della professoressa C. Mazzucco sui recenti metodi di analisi dei testi, che implicano l’ utilizzo (a volte anche esasperato) delle varie “scienze umane” e delle interpretazioni contestuali.

   Per quanto riguarda più specificamente il Nuovo Testamento, tre importanti contributi sono stati offerti dal moderatore Piero Stefani, una delle colonne di Biblia: sul rapporto delle Scritture di Israele con la Bibbia cristiana; sulla cosiddetta “ terza ricerca” sul Gesù storico; sulla restituzione a Paolo di Tarso della sua “ebraicità”. Piero ha inoltre contribuito, come moderatore, a orientare e istruire il dibattito su tutte le relazioni.

   Nel secondo gruppo di interventi citiamo le due appassionate riletture di Don E. Franco de I Canti del Servo del Deuteroisaia e del Cantico dei Cantici. Su questo stupendo poema abbiamo avuto anche una lettura di analisi testuale da parte del prof. Capelli. Poi una brillante (come d’ abitudine) e provocante rivisitazione del prof. D. Garrone dell’ ‘Aqedà («legatura») di Isacco, e più in generale di alcuni problemi familiari del patriarca Abraham. Infine gli esempi di applicazione dei nuovi metodi presentati dalla professoressa Mazzucco, riguardanti la parabola del Figliol prodigo e il racconto delle nozze di Cana.

   Per concludere, ci sembra di poter tirare una lezione dalle fatiche di questo seminario estivo: la storia della formazione e del “congelamento” del testo mostrano come la Scrittura sia ebraica sia cristiana siano il risultato di una serie di successive riletture dei concetti ispirati dallo Spirito del Signore, giustificate dalle variazioni nel tempo e nello spazio delle situazioni storiche e degli ambienti culturali dei credenti. Dopo la definitiva fissazione del testo scritto questo sforzo di attualizzazione è continuato, sia in campo ebraico che in campo cristiano, con l’ evoluzione dell’ ermeneutica, che di volta in volta ha preso atto delle novità e molteplicità dei contesti in cui si trova a vivere, a credere e a sperare l’umanità. È una staffetta in un percorso di meditazione e studio di cui, sia pure marginalmente, anche noi teniamo in mano  il testimone: facciamo dunque il possibile per non lasciarlo cadere…


 

Daniele Garrone

 - ci ha ospitato a Torre Pellice sabato 22 agosto per parlarci delle più aggiornate ricerche sulla formazione del Pentateuco; lunedì mattina  era di nuovo con noi a Cantalupa per parlarci di Abramo:  e in mezzo? Domenica Garrone ha tenuto il culto di apertura dell’annuale Sinodo valdese e metodista, evento che, come si suol dire, a un pastore capita una sola volta nella vita. La sua predicazione, basata sulla lettera agli esiliati del profeta Geremia (29, 1-7. 10-14),  ha trovato vasto eco sulla stampa soprattutto a motivo della franchezza con cui in essa si è parlato dei temi della laicità connessi alla ricerca del bene e della pace della città secolare. Per il suo valore e come segno di ringraziamento per l’affetto da sempre dimostrato da Daniele nei confronti di Biblia riportiamo qui la parte finale della predicazione. -

 

Dio a Babilonia

Ma c’è un aspetto ancora più importante in cui il nostro testo è rivoluzionario. Si tratta dei versetti da 10 a 14

:

Poiché così parla il Signore: Quando settant'anni saranno compiuti per Babilonia, io vi visiterò e manderò a effetto per voi la mia buona parola facendovi tornare in questo luogo. Infatti io so i pensieri che medito per voi, dice il Signore: pensieri di pace e non di male, per darvi un avvenire e una speranza. Voi m'invocherete, verrete a pregarmi e io vi esaudirò. Voi mi cercherete e mi troverete, perché mi cercherete con tutto il vostro cuore; io mi lascerò trovare da voi, dice il Signore; vi farò tornare dalla vostra prigionia; vi raccoglierò da tutte le nazioni e da tutti i luoghi dove vi ho cacciati, dice il Signore; vi ricondurrò nel luogo da cui vi ho fatti deportare (Geremia 29,10-14).

 

 Se Dio ha potuto far scrivere la lettera di Geremia, se egli dunque si rivolge ancora a coloro che ha cacciato lontano dal suo volto, allora - dice chi prosegue il testo inserendo i vv. 10-14 - questo ci rivela qualcosa di Dio. Vuol dire che Dio è presente al di là del suo santuario, al di fuori di Sion, nel luogo della sua assenza, se posso usare questo paradosso. Dio si fa incontrare e trovare in un luogo in cui non ha uno spazio evidente e garantito. Nella mentalità dell’Antico Vicino Oriente, la sconfitta di una nazione era la sconfitta dei suoi dei; la fine del suo tempio comportava la sua scomparsa dal mondo o almeno la sua ininfluenza. Quando, nel salmo 137, gli esiliati dicono “Come potremmo cantare i canti del Signore in terra straniera?” non danno soltanto voce al loro orgoglio nazionale ferito, ma esprimono un vuoto assai più grande: il vuoto di Dio. Siamo esclusi dallo spazio di Dio. Ma qui si compie una delle più grandi rivoluzioni di pensiero della storia. Dio si fa trovare al di fuori di uno “spazio di Dio”. Nasce una nuova forma di religione, che ha bisogno soltanto della Parola di Dio e della fede, di un libro, la Scrittura, e della preghiera. Per dirla con le parole di Ezechiele, sempre rivolte agli esiliati, “io sarò per voi” un santuario “temporaneo” o “parziale”. Dio che si fa santuario in una situazione che appare come eclissi del suo volto e ritrarsi del suo braccio.

“Mi cercherete e mi troverete” non si riferisce al momento in cui si sarà compiuta la promessa di un ribaltamento delle sorti di Israele - che questi versi pure contengono - ma già in Babilonia, già in esilio, già nella dispersione voluta da Dio. Nel luogo e nel tempo in cui a voi sembra solo possibile rimpiangere ciò che non c’è più, voi mi ritroverete, perché “mi cercherete con tutto il cuore”.

Non essere dei nostalgici di Dio, dei restauratori del mondo perduto in cui pensavamo di averlo sempre con noi e per noi, ma ritrovarlo davanti a noi quando nulla lo mostra e lo garantisce. Ecco la promessa agli esuli chiamati a radicarsi nella città e a cercarne il bene.

 

Cercare Dio

Non credo sia sbagliato, nella nostra riflessione sulla diaspora cristiana e la città secolare, ricevere queste parole non solo e innanzitutto come una promessa, ma anche come un invito. Lo tradurrei così. Cercate Dio. Con due accentuazioni. Cercate Dio. Fate in modo che mai la città debba avvertirvi come dei detentori di Dio. Non apparite come i suoi amministratori o gestori. Non presentatevi mai come i suoi rappresentanti. Non come i divulgatori dei suoi valori. Non sentitevi chiamati a difenderlo e a presentarlo come fondamento necessario. Tra l’altro, non gli corrisponde, perché egli non si muove sul piano della necessità, ma su quello della gratuità. Non ostinatevi a insegnare in modo paternalistico che, senza di lui come presupposto, nessuno può fare nulla di buono. Cercatelo, cercatelo con tutto il cuore. Cercatelo voi, cercalo tu.

Cercate Dio. Non cercate altro. Molte altre cose le potete e dovete cercare, umilmente, con altri, nella cultura e nella politica, nella ricerca scientifica, nel lavoro e nella professione. Ma la vostra vocazione è cercare Dio. Non vi preoccupate in primo luogo di etica, di valori, di civiltà, ma cercate Dio. Non cerca chi pensa di avere la Verità. Chi ha conosciuto la santità di Dio, lo cerca ancora. Chi lo ha incontrato, lo cerca di nuovo, per non scambiare mai il Vivente con ciò che egli ha capito di lui. Anche questa volta lo ha detto bene Lutero: “Il compimento di questa vita non sta nell’avere Dio, ma nel cercarlo. Sempre bisogna cercarlo e ancora cercarlo, sempre di nuovo, da capo. Così il cammino procede di forza in forza, di chiarezza in chiarezza nella stessa immagine. Infatti sarà beato non chi comincia a cercare, ma chi persevera fino alla fine (Mt 10,22), ricominciando sempre di nuovo a cercare ciò che ha trovato. Infatti chi non progredisce sulle vie di Dio e chi non cerca ancora, perde ciò che ha trovato, perché sulle vie di Dio non ci si può mai fermare…”. (M. Lutero, Commento a Rom 3, 11).

I cercatori di Dio “cercano il bene della città e pregano per essa”. Cercare il bene non è sinonimo di pregare. “Cercare il bene della città” è un fare, come quando Isaia (1,17) dice: “Imparate a fare il bene; cercate la giustizia, rialzate l'oppresso, fate giustizia all'orfano, difendete la causa della vedova!”  Se ci pensiamo bene, “pregare per” è la cosa più laica che possiamo fare. Perché è l’unica in cui non ci mettiamo nulla di nostro. “Pregare per...” non significa affidare a Dio, perché le compia con la sua potenza, quelle iniziative nei confronti della città che a noi non riescono (più). Non significa sperare che egli faccia diventare gli altri come noi vorremmo. Significa chiedere a Dio che sostenga tutti nella ricerca della giustizia e della libertà. Soprattutto, pregare per la città significa chiedere speranza, significa rimettere il futuro non ai nostri piani per gli altri, ma al nuovo del Dio che viene.

Questa nostra assemblea, che apre il sinodo - la massima assise decisionale della nostra Chiesa - costituisce un uditorio simile a quello della missiva di Geremia: anziani, sacerdoti, profeti e tutto il popolo della diaspora... pastori, deputati, diaconi, predicatori locali, laici impegnati, credenti... Questo nostro piccolo “resto”, quel che rimane di una storia lunga e sofferta, è - come Israele disperso in Babilonia - destinatario di una parola di giudizio, di vocazione e di promessa. E che altro deve fare un sinodo se non sottomettersi al giudizio di Dio ed ascoltare la sua promessa e compiere la sua vocazione?

Da Adista 91 (19 settembre 2009)