VIAGGIO DI STUDIO IN RUSSIA
19-29 giugno 2005

MOSCA

Mosca è una città multiforme e poliedrica, ed è difficile ricondurre ad una sola definizione e a una sola immagine i suoi numerosi e contrastanti aspetti.
Il primo giorno, ci siamo recati alla Piazza Rossa: la grande e grandiosa piazza era quasi vuota, e i pochi passanti cercavano di ripararsi da un implacabile vento freddo, nonostante fosse la fine di giugno. Venivano in mente le lunghe file dei russi che in silenzio sotto il Regime cercavano di avvicinarsi al Mausoleo di granito rosso, che custodisce il corpo di Lenin. A questa liturgia se ne è sostituita oggi un'altra, più sommessa, di fedeli che vanno e vengono dalla chiesa della Madonna di Kazan posta quasi di fronte al mausoleo. E ancora di fronte i moderni negozi con le grandi firme europee ecc. indicano che ormai la globalizzazione si è impossessata anche della Russia. Sotto le bellissime arcate del GUM, i grandi magazzini in stile Liberty, ancora gli stessi negozi che troviamo da Palermo a Stoccolma, solo qualche banchetto casereccio che vende dolci o gelati ci richiama ad una realtà diversa dalla nostra.
Al di là della grande muraglia rossa appaiono le cupole delle chiese del Cremlino. È uno degli aspetti più affascinanti del mondo russo, che ci appare nella sua religiosità austera e profonda nelle bellissime chiese cupolate, coperte di affreschi, chiuse verso l'altare da monumentali iconostasi, intrise di incensi e sempre rese vive dai fedeli, numerosi, e dai canti dei cori dalle voci basse e profonde.
Il Cremlino, certo, con le sue stupende architetture cupolate con le cattedrali dell'Annunciazione e dell'Assunzione, decorate da Rubliev e da Teofane il Greco; ma il centro di Mosca nasconde anche altri monasteri: tra questi il Monastero delle Vergini, un enorme complesso di edifici protetto da mura turrite, dove spicca la cattedrale della Vergine di Smolensk; immediatamente dietro è il parco-cimitero, visitatissimo, dove sono sepolti i grandi russi, Gogol, Prokofiev, Cecov e tanti altri, non ultima Raissa Gorbaciova. E ancora il Monastero del Salvatore dove visse Andrea Rubliev e dove sono conservate icone della sua scuola. È questo, dei monasteri severi e arcaici, uno dei volti caratteristici di Mosca, forse il più difficile da capire, perchè ci riporta a quel lungo e drammatico medioevo che in parte ancora resiste.
Ma per contrasto, altre cattedrali questa volta moderne: sono le grandiose costruzioni degli anni cinquanta del Novecento, con le quali lo stesso Stalin volle trasformare l' aspetto e il paesaggio della città, e che mi sembra rivestano oggi un grande significato anche nella storia della architettura e dell' urbanistica. Tra gli edifici staliniani, impressionanti per la loro maestosa gravità, non possiamo non ricordare almeno l' Università statale, la celebre Lomonosov, e l'attuale Ministero degli Affari
Queste architetture e le grandi arterie che attraversano Mosca sono indicative di un' epoca che ha segnato profondamente la vita della Russia e dell'Europa tutta, e che non si potrà cancellare tanto facilmente. Esse esprimono un altro aspetto della città, quello forse che è più rimasto diffusamente impresso nell'immaginario collettivo.
Ma per noi la Russia e Mosca significano anche la grande musica e la grande letteratura e pittura dell'Ottocento e del primo Novecento. Un mondo lontano che prepotentemente è penetrato nell'Occidente europeo diventandone parte assolutamente integrante. E Mosca conserva ancora alcuni pittoreschi e tranquilli quartieri con caratteri ancora ottocenteschi, fatti di case piuttosto basse e di giardini: qui vi è la villetta di Tolstoi, modesta ma serena, custodita da molte vecchiette sicuramente consce della loro funzione di custodi di un grande patrimonio di civiltà; e poi l'abitazione di Puskin, e piccoli caffè che si affacciano su piazze lontane dal traffico. Luoghi che appaiono improvvisamente dalle vie che si affacciano sulle grandi arterie e che ci stupiscono. Così come stupisce, se la si confronta con la nostra affrettata disattenzione, la numerosa folla di russi che si recano a visitare quelle loro memorie nelle case dei grandi, ma anche alla Galleria Tretiakova, che conserva almeno due nuclei di eccezionale interesse e importanza: le antiche icone, e la pittura dell' Ottocento, entrambi momenti alti dello spirito, delle cultura e delle storia russa e in particoalre moscovita. E ci stupisce ancora il silenzio con il quale i russi, anche i giovani e addirittura i bambini, religiosamente passeggiano nei cimiteri, dove riposano i grandi..
Dal silenzio dei monasteri, e dal raccoglimento delle case-museo si ritorna improvvisamente al caos della circolazione, alle grandi strade dove a stento si procede, così a Mosca come nelle altre città di tutto il mondo, in una totale globalizzazione del traffico. E tuttavia, appena c'è uno slargo, ecco dei caffè piuttosto modesti, con grandi ombrelloni variopinti, dove siedono pigramente solo uomini, i cui lineamenti indicano una grande varietà di razze. Perché Mosca è sì città europea, ma è anche la grande porta che oggi, come un tempo, si affaccia sull'Oriente.

Francesca Flores d'Arcais


L'ANELLO D'ORO

La spedizione di Biblia ha due obiettivi principali: Mosca e S. Pietroburgo, e una missione segreta, l'Anello d'Oro. I nostri soci conoscono l'anello di Re Salomone, qualcuno forse l'anello di Waldeyer, ma l'Anello d'Oro? Esso è il nome moderno del raccordo anulare a nord-est di Mosca, 800 km che uniscono i più antichi monasteri ortodossi e le città che hanno raggiunto i vertici nella religione, nell'arte e nei commerci tra il tempo del declino di Kiev (XII secolo) e dell'ascesa di Mosca a capitale (XIV secolo).
L'Anello d'Oro è l'anima dell'antica Russia , "dove e quando" dice Gian Piero Piretto "arrivare non era così importante come partire…". Terrorismo psicologico? - pensiamo -, un accompagnatore di rango assoldato per spaventarci? Noi vogliamo non solo arrivare ma anche tornare e sfatare il mito che dalle campagne di Russia si ritorna solo da vinti. No, "…per i vagabondi, i santi pazzi, i camminatori ad oltranza, gli starec".
All'apertura dell'Anello (d'oro) risuona dolce il tintinnio del campanello della slitta che il contadino russo ha costruito con legno senza chiodi, e l'eco delle note alla lettura in metrica dei nomi delle città dell'Anello "..Sèrgi/èv-Posàd/rastòv/jaròs-lav/kòs-tromà/susdàl/bogò/ljubò/vo-vlà/dimìr…dimìr.. dimìr"
Noi faremo il viaggio in pullman.
Non c'è solo Piretto con la sua enciclopedica cultura della storia e della letteratura russa tra le nostre guide, ma anche Adalberto Mainardi, Gabriele Boccaccini, Amos Luzzatto e Laura Novati con la loro monumentale conoscenza dell'esicasmo, del martirio e delle diaspore dell'ortodossia, dell'ebraismo, del cristianesimo, degli esseri umani.
Abbiamo anche una competente guida locale, Irina, che parla un perfetto italiano ed è arrabbiatissima con Michail Gorbachov perché non ha fatto cadere prima il muro di Berlino.A Sergiev Posad , prima meta di visitazione, nel 1334 si eremitò S.Sergio di Radonèz, dopo la visione della Vergine, e vi fondò il Monastero della S.S. Trinità e la sua regola che trasmise ad Andrej Rublev il quale la trasformò nel mistero dell'Icona. Un attimo di raccoglimento nella città di Sergio da dove l'11 Aprile 1917 Pavel Florenski scrisse la prima lettera, "..nel caso della mia morte" (Non dimenticatemi, Mondadori 2000).
Lasciamo a malincuore il campanile della Cattedrale della Trinità, la cupola dorata e le quattro d'azzurro stellate della Cattedrale della Dormizione. Ma non ci mancheranno. Tutto l'Anello è un cremlino, un monastero, un campanile, una cattedrale, una cupola , un affresco, un'icona e Iconostasi, tante. Alla chiusura dell'anello ci fermiamo, poco prima di arrivare a Vladimir, nel borgo di Bogoljubovo.
Finalmente a piedi, calpestiamo i quattro doppi binari della Transiberiana. Attraversiamo campi di girasoli, un lembo di steppa giallo-savana per arrivare alla piccola Chiesa dell'Intercessione, considerata una delle più belle e suggestive chiese russe, che domina il fiume Njerl dall'alto di un dosso. Quando quest'area si allaga per il disgelo la chiesa si raggiunge solo in barca. Bogoljubovo è la sintesi dell'anima russa, dei suoi rapporti con il territorio, spazi sconfinati, lande infinite, tormente di neve, deserti di ghiaccio. Fuori, all'aperto, l'uomo russo è impotente. Al chiuso, nella chiesa, recupera potenza che esprime come invocazione ininterrotta, preghiera che purifica la mente dai pensieri eventualmente anche buoni ma che impediscono la concentrazione, come bellezza salvata e salvatrice, Icona, il tema del seminario introduttivo di Adalberto.
Sottomissione, mai vile, neanche al potere, al capo giusto non buono, al capo né buono né giusto, al prezzo di privazioni di categorie fondamentali, del sacrificio della vita.
Lungo il Volga l'eco degli alatori, dei battellieri, ..Vo(l)ga…Vo(l)ga , ..Issa.. Issa.., nelle canzoni popolari si canta "il Volga a Mosca!", l'approvvigionamento idrico come falso ideologico, l'utopia vuole portare il Volga a Mosca, la piccola Moskova non è adatta alla grande alla rossa alla bella.Lasciamo Bogoljubovo e la sua cupola nera di rame a forma di cipolla che è come la fiamma di una candela, e risaliamo sul pullman per Mosca dove ci aspetta un treno notturno che ci porterà a Novgorod.
Inseguiamo la storia.

Francesco Callea


UN CONFRONTO

Come docente universitario di letteratura anglo-americana non lontano dal pensionamento avevo rimandato già troppo a lungo di andare a farmi una prima idea dell'altro Impero, peraltro semi-demolito. Il fatto che questa visita intendesse concentrarsi sulla tradizione religiosa locale, quella ortodossa, accresceva la mia curiosità, dal momento che l'Impero da me lungamente frequentato è nato da una delle correnti più radicali del Cristianesimo riformato, quella puritana. Dunque la mia attuale curiosità nei confronti della Russia ormai post-sovietica era acuita da una domanda di fondo, ovviamente ingenua: sarebbe stato possibile cogliere qualche rapporto fra il grande esperimento collettivistico della Rivoluzione (del tutto antitetico al modello statunitense-occidentale) e il sostrato religioso precedente, a me quasi del tutto sconosciuto?
Qualcosa mi è sembrato di cogliere, grazie anche alle conferenze e conversazioni tenute da Adalberto Mainardi e Gian Piero Piretto, ma non mi azzarderò a parlarne qui. Semmai posso cercare di accennare, alla buona, a qualche elemento indicativo dell'enorme distanza che mi è sembrato di percepire fra i due mondi. Per esempio la struttura delle chiese. Entrando nelle fastose e suggestive chiese ortodosse, fra ori e candele e icone e affreschi, mi tornavano in mente, per contrasto, alcune chiese congregazionaliste della Nuova Inghilterra risalenti ai primi decenni del 1700. Sobrie costruzioni di legno dipinto che racchiudono una sala rettangolare, spoglia, fortemente illuminata dalla luce del giorno che passa attraverso ampie vetrate prive di decorazioni e di colori, perché la luce di Dio deve illuminare i fedeli senza adulterazioni. Le file dei banchi, con i libriccini dei salmi da cantare, nessuna statua, nessuna immagine, a volte nemmeno il crocifisso, nessun altare vero e proprio, solo un modesto pulpito. Per certi versi, curiosamente, quelle chiese erano più simili alle moschee che non alle chiese cattoliche, ma ancora non lo sapevo. Istanbul sarebbe venuta più tardi. Lì c'era solo la congregazione raccolta per udire, recitare e meditare la parola di Dio, in uno spazio vuoto, chiaro, privo di ombre e di modulazioni. Al confronto con tale sobrietà, le chiese cattoliche, soprattutto quelle barocche, soprattutto quelle romane, già mi apparivano semi-pagane, idolatriche, teatrali. Figuriamoci adesso le chiese ortodosse: magiche, dentro e fuori! Le cupole rutilanti, o dai colori accesi, e gli interni zeppi di immagini e delle suggestioni più varie e fitte e intrecciate. Nel periodo della Pasqua ortodossa che avevo vissuto due anni fa ad Atene ero stato sommerso da luci, colori, immagini, gesti ripetuti, icone, incensi, candele, paramenti, fronde verdi, olii sacri, parole antiche, processioni, canti sublimi e ipnotici, tintinnare di sistri. Mi avevano fatto pensare a un involontario museo vivente, che attingeva al paganesimo (classico e orientale) trasfondendolo nella nuova fede e conservando l'uno e l'altra, prodigiosamente, fino a oggi. Ad Atene (ma anche nel percorso russo) si andava indietro nel tempo, e si conservavano più cose. Mi colpiva la particolare gestualità dei fedeli, che non avevo mai osservata prima, se non forse da bambino, e in misura ridotta, in qualche santuario. Il continuo segnarsi, i gesti di contrizione, gli sguardi supplicanti e, insieme, innamorati, il lieve movimento oscillatorio del corpo totalmente abbandonato, il rilasciare le braccia lungo il tronco, addirittura il lasciarsi cadere sul pavimento, e il restarci a lungo.
Anche il puritanesimo americano aveva voluto andare indietro nel tempo, ma per conservare solo la Parola, la più vicina possibile a quella originale, sfrondata da ogni ritualità pagano-orientale e da ogni commistione idolatrica (leggi: romana). Dunque austerità, alfabetizzazione generalizzata, meditazione e responsabilizzazione individuale, alla chiara luce del giorno e dell'argomentazione raziocinante dei sermoni. Una religiosità scarna, severa e operosa, che, come sappiamo, pose le basi del primo, austero capitalismo, quello della religione del lavoro. In Russia, invece, trovavo una religiosità intimorente, piena di arcano, di mistero e di misticismo, di annegamento dell'io, di ineffabile. Forse sono soltanto impressioni soggettive. Meglio fermarsi qui.

Mario Corona


PIETROBURGO

L'ultima parte del nostro appassionante viaggio in Russia è il percorso Rostov- Pietroburgo. Lungo la strada oltre alla verdissima e fitta campagna sfilano a tratti le case contadine russe: le famose isbe. Alcune probabilmente sono abbandonate, vedo delle persone che escono e parlano tra di loro, alcuni sono fermi sui loro pezzi di terra che sembrano coltivati, ma non riconosco né le foglie degli arbusti, né il tipo di piante: hanno l'aspetto di chi vive di poco. La campagna fitta e profonda continua per chilometri e chilometri come in tutti i paesi che hanno spazi così enormi.
Per tutta la strada la natura è straordinariamente bella e i pochi villaggi che incontriamo sembrano molto poveri. Quando arriviamo a Pietroburgo entriamo di colpo nello sfarzo neoclassico della città. Il mio primo sguardo, che poteva essere solo sulla superficie, si è quasi saturato nel continuum delle forme scenografiche. Mi ha colpito l'armonia classica degli edifici e la razionalità della loro disposizione che, pur con qualche variazione, si ripete in sequenze uguali. Pietro il Grande ha fondato questa città agli inizi del Settecento usando un modello politico dispotico per creare un enorme luogo urbano basato su un'architettura che attingeva invece a un'idea più democratica nel rapporto tra il principe e i governati. Ho provato i due giorni successivi a guardare accantonando la storia e le mitologie fondative di Pietroburgo per evitare un eccesso di suggestioni letterarie e vedevo il canone neoclassico degli edifici che si ripete e continua a ripetersi passando da uno stabile all'altro, spesso restaurati e dipinti con azzurri, verdi, gialli carichi e decorazioni dorate. Dopo un po' speravo di incontrare qualcosa che spezzasse tutte queste prospettive simmetriche, queste nitide ed enormi piazze, che rendesse meno statico e meno astratto il panorama urbano. Mi è sembrato evidente che la rivoluzione d'ottobre fosse incominciata proprio qui, in questa città sfarzosa e un po' finta il cui modello europeo trapiantato ha dato origine a uno strano ibrido, come se le parti grammaticali fossero quelle europee, ma poi la sintassi risultasse diversa. Gian Piero Piretto ci aveva chiesto: "Guardate Pietroburgo e ditemi se vi sembra europea". No, a me non è sembrata europea, mi è sembrata 'fuori luogo', ma proprio per questo esercita una fortissima attrazione. E poi ci siamo arrivati durante le straordinarie notti bianche che aumentano l'effetto irreale di questo luogo. Brodskij, il poeta, diceva che a Pietroburgo i pensieri si staccano più facilmente dalla realtà rispetto a qualsiasi altro posto in Russia.
Ma Pietroburgo mi è sembrata 'fuori luogo' anche perché è 'fuori tempo': una città che, almeno nella forma, ha immobilizzato il suo passato, a differenza di Mosca, (che riesce a commuovermi) dove si vedono in continuazione le stratificazioni, le diversità, le geniali architetture dell'avanguardia costruttivista vicino a edifici banali o davvero brutti. Pietroburgo è immobile: la sua imponenza e la sua esibizione di estetica urbana senza trasformazione dove lo spazio è stato pensato una volta per tutte la rendono simile a un teatro e a una città che si è disfatta della sua rappresentazione storica. O meglio, la storia ha catturato un eccesso di senso una volta per tutte. Certo la città della letteratura, per quello che ricordo, è molto distante da ciò che ho visto, è fatta di piccoli spazi interni, a volte soffocanti, spazi domestici miseri che non condividono nulla con la maestosità esterna. Mi è difficile mettere insieme queste due immagini, ma forse questa doppia immagine cattura e preserva l'attrazione che, nonostante tutto, Pietroburgo esercita.

Laura Graziano