RELAZIONE SULCONVEGNO
«IL CINEMA E LA BIBBIA»
Palazzo San Giorgio, Genova 30 ottobre - 1 novembre 1999

Nella suggestiva cornice del porto di Genova, il Palazzo San Giorgio (con le splendide pitture della sua facciata e con il suo austero Salone delle Compere) ha ospitato i partecipanti al convegno organizzato da Biblia su "Il cinema e la Bibbia".
Il 30 ottobre, aprendo i lavori sul tema "Dalla Bibbia al cinema", Agnese Cini (presidente di Biblia) ha riproposto lo stimolante (e in qualche modo inquietante) quesito che figurava nel dépliant d'invito al convegno: ``Non è stato il cinema uno dei più perfidi traditori della Bibbia, dato che ha rubato le storie e i personaggi, trascurando quasi sempre lo spirito e le forme simboliche?".
Una prima risposta è venuta dalla sintesi della relazione che Guido Fink (critico letterario e cinematografico e docente di Lingua e Letteratura Inglese), nell'impossibilità di intervenire al convegno, ha inviato e che è stata letta da Agnese Cini: il cinema è una grande riserva di miti, è il linguaggio visivo dell'immaginario, compreso 1'immaginario biblico, che pervade tuttora le opere letterarie e artistiche come anche i dibattiti religiosi e morali del nostro tempo.
Con la capacità di piacevole affabulatore che gli è propria, il critico cinematografico Claudio G. Fava ha tracciato un rapido excursus sulla Bibbia nella storia del cinema, soffermandosi in particolare su alcuni film. come L'ultima tentazione di Cristo ( 1980) di Martin Scorsese, che ha rovesciato le tradizionali immagini hollywoodiane della figura di Cristo, sottolineandone la componente umana, e come Il Decalogo (1988-89) di K. Kieslowski, una straordinaria rilettura dei dieci comandamenti rivissuti nell'ottica dei problemi drammatici e del "tragico quotidiano" della vita contemporanea.
È toccato poi a Paolo De Benedetti (biblista e docente di Giudaismo) tenere la relazione di base del conveano («La Bibbia: un libro da vedere e da raccontare»). Secondo De Benedetti nella Bibbia sono presenti almeno due "film". Il primo "film" è dell'Antico Testamento (Deuteronomio, 34): a Mosè. che sta per morire, angosciato perché non vedrà la Terra Promessa, il Signore mostra tutto il paese che darà agli Ebrei . Il secondo "film" è del Nuovo Testamento (Matteo, 4): il diavolo conduce il Figlio di Dio su un monte altissimo e gli mostra tutti i regni del mondo. a patto che Gesù si prostri e lo adori. Commenta argutamente De Benedetti: nel linguaggio dei recensori cinematografici cattolici, il primo "film" è "per tutti" (perché tutti debbono obbedire a Dio, anche quando 1'obbedienza implica sofferenza), mentre il secondo "film" è "sconsigliato" (perché è molto difficile sottrarsi alla tentazione dei "regni del mondo"). Dopo questo accattivante esordio, De Benedetti ha affrontato il tema centrale della sua relazione. La Bibbia è un racconto di cose da udire (come risulta dalla frase ricorrente: «E Dio disse...») ed è un racconto di cose da vedere (sulla base dell'altra frase più volte iterata: «E Dio vide...»). La ricezione della comunità religiosa è acustica (= la Bibbia è soprattutto un racconto da udire): ma la rielaborazione del singolo lettore è visiva (perché ricostruire un significato vuol dire, prima di tutto, "vederlo" con gli occhi della mente). L'immagine è tuttavia una minima parte del mondo visibile della Bibbia, che è un'enorme riserva di cose da vedere (si pensi alla minuziosa rappresentazione del santuario in Esodo, 36). Richiamandosi a un famoso saggio di Erich Auerbach («La cicatrice di Ulisse», in Mimesis, Einaudi, Torino 1956), De Benedetti ricorda come, a differenza dei personaggi omerici (il destino dei quali è definitivamente fissato dagli dèi), i personaggi biblici hanno «maggiore profondità di tempo. di destino e di coscienza», e spetta quindi al lettore integrarne con una rielaborazione personale le figure, tranne la figura divina (perché, come si legge in Esodo, 33 «nessuno può vedere il volto di Dio e restare vivo»).
La Bibbia è stata trattata come "oggetto filmico" nella relazione «La Bibbia come oggetto e come presenza» di Gavriel Moses (docente di Cinema e Letteratura Italiana a Berkeley): una relazione resa ancor più interessante dalla proiezione di alcuni spezzoni cinematografici, come quelli tratti dal famoso (e famigerato) film colossal I Dieci Comandamenti ( 1923, rifatto nel 1956) di C. De Mille: anche se non privo di un senso romantico della storia, De Mille usa e abusa (come si è visto nei suddetti spezzoni) della sua formula spettacolare e grossolana di "sangue, sesso e Bibbia". La ricchissima relazione di Moses si è estesa al modo di trattare la Bibbia nei maggiori generi hollywoodiani (dal western all'horror) e in certi film spettacolari del nostro tempo come «Alla ricerca dell'arca perduta». Circa le "presenze" della Bibbia, il relatore ha ricordato che la Bibbia figura, come immancabile "oggetto", nelle camere dei grani alberghi, e che è presente anche nel dibattito religioso-culturale, soprattutto negli Stati Uniti, come "oggetto" di controversia non sempre pacifica tra "creazionisti" ed "evoluzionisti".
Piero Stefani (biblista e saggista) ha analizzato le grandi metafore della Bibbia (Eden. Babele, Esodo, Apocalisse), prendendo lo spunto da una definizione, formulata da W. Blake. della Bibbia come "codice dell'arte". Ci sono diversi approcci alla Bibbia, a seconda del canone di interpretazione che si sceglie: mentre il canone della Bibbia cristiana è improntato a una visione più universale, che Stefani definisce felicemente come "realismo tragico".
Sandro Bernardi (docente di Storia e Critica del Cinema), discutendo delle applicazioni al cinema delle grandi metafore bibliche, ha approfondito il rapporto tra la parola e 1'immagine. Ricollegandosi a Moses (che ha definito "pacchiano" il colossal alla De Mille), Bernardi ha giudicato severamente questo tipo di produzione hollywoodiana degli armi Cinquanta, al quale ha contrapposto il cinema statunitense delle origini; molto interessante è stata la sua "lettura" del film Intollerance (1916) di D.W. Griffith: un magistrale affresco dell'intolleranza attraverso i secoli, in cui episodi della storia babilonese si intrecciano con la passione di Cristo, con la strage degli Ugonotti nella notte di San Bartolomeo e con le dure conseguenze di uno sciopero moderno negli Stati Uniti (motivi diversi, legati insieme dall'immagine di una madre che dondola una culla). Film come «Intollerance» confermano (ha concluso Bernardi) 1'opportunità della definizione del cinema, fornita da E. Panofsky: "una cattedrale dei tempi moderni", simile alle cattedrali gotiche che, con i loro affreschi, svolgevano la funzione di "Bibbie dei poveri".
L'ultima relazione della giornata è stata quella di Stefano Socci (critico cinematografico), che ha trattato il tema del «linguaggio del volto nel cinema», analizzando diversi film, da Ben Hur ( 1959) di W. Wyler a La Bibbia ( 1966) di J. Huston. La giornata si è conclusa con la visita dei convegnisti a quel "poema del mare" che è 1'Acquario di Genova e con la cena ... in compagnia degli squali (anche questo è in fondo un tema biblico: chi non ricorda la vicenda di Giona nel ventre della balena?).
La giornata del 31 ottobre è stata dedicata al tema: «Dal cinema alla Bibbia» (si è quindi riproposto, capovolto, il tema della giornata precedente).
Affascinante è stata la relazione di Stefano Levi della Torre (pittore e saggista), che ha svolto il tema del "linguaggio del volto nella Bibbia". Prendendo spunto da un film suggestivo come Morte a Venezia di L. Visconti e da numerosi riferimenti pittorici (Rembrandt e la grande pittura del Seicento, Hayez e il tema dell'incontro tra Giacobbe ed Esaù, ecc...) Levi Della Torre ha ripreso il paragone (già ricordato da P. De Benedetti) che Auerbach ha istituito tra Omero e la Bibbia, svolgendolo in chiave pittorica (la piena luce di Omero, il chiaroscuro della Bibbia) e retorica (la similitudine in Omero, la metafora nella Bibbia) e soprattutto ha ricordato che i personaggi della Bibbia si trasformano nel tempo e invecchiano, mentre quelli di Omero non invecchiano mai e vivono in un'eterna primavera. Levi Della Torre ha poi riproposto il quesito posto già da De Benedetti: qual è la faccia di Dio? Si pone a questo punto un problema di enorme complessità: è I'uomo a immagine di Dio o è Dio a immagine dell'uomo? L'esiguità del tempo a disposizione non ha consentito al relatore di sviluppare fino in fondo questa fascinosa tematica; Levi Della Torre ha però trovato il tempo per biasimare certe "vergognose" traduzioni interpretative ebraiche (targum) della Bibbia a proposito del Cantico dei Cantici, degradato da sublime canto d'amore a clericale e goffa esaltazione dei leviti.
Le altre relazioni della mattinata sono state: quella di Lorenzo Pellizzari (critico e storico del cinema), ancora sul tema del colossal biblico in rapporto ai "perfidi fratelli" (gli ebrei: un'infelicissima espressione pre-conciliare, che per fortuna è stata abrogata); e quella del padre gesuita Nazareno Taddei, che ha trattato con profondità di dottrina la metafora della Passione in Dreyer, Bergman, Tarkowskj.
Nel pomeriggio si è approfondito il tema della Bibbia in rapporto al cinema d'autore. Di Bresson avrebbe dovuto parlare Giorgio Tinazzi (docente di Storia del Cinema), che però non ha potuto intervenire al convegno ed è stato egregiamente sostituito da un giovane convegnista, Alberto Corsani. Giovanni Spagnoletti (critico cinematografico) ha tentato, in garbata polemica con Bernardi (ma è questo il "bello" dei convegni!), di rivalutare il cinema dei "Mammut" (cioè dei colossal "anni Cinquanta"), dominati a suo parere dalla nostalgia di un genere di film che stava tramontando (ma è fondato il sospetto che sulla nostalgia abbia prevalso 1'attenzione agli incassi dei botteghini); ha poi illustrato il cinema di Kieslowski. Marco Pistoia (dottore in ricerca in Storia dello Spettacolo) ha imperniato la sua relazione su Pasolini intorno al progetto di un film non realizzato su san Paolo (ma qualcuno degli ascoltatori avrebbe gradito un più ampio riferimento a quel capolavoro di struggente bellezza che è «Il Vangelo secondo Matteo»). Magistrale, infine, è stata la relazione di Alberto Farassino (docente di Storia del Cinema) su Godard e in particolare sul suo film Je vous salue, Marie (1985): il regista francese è riuscito a non cadere né nel colossal d'autore né nel film colto e confortevole; ciò malgrado, ha scandalizzato i benpensanti non solo per le immagini di corpi nudi, ma soprattutto perché ha descritto 1'Apocalisse invece dell'Avvento di Gesù.
Ci si chiede in conclusione se il modo migliore per evitare che il cinema tradisca lo spirito della Bibbia non sia proprio quello (già tentato all'alba della cinematografia da Griffith) di descrivere la follia del mondo, deprecata con parole di fuoco dai grandi profeti.

Attilio Cannella


RIFLESSIONI DI UN PUBBLICANO
A poche centinaia di metri in linea d'aria, in direzione nord-est, da Palazzo San Giorgio a Genova, sorge la Collina di Sarzano.
Nella chiesa del Salvatore sulla sommità, oggi aula magna della facoltà di Architettura, fu battezzato Cristoforo Colombo. nato a Genova da una famiglia di lanaioli originari del nord Italia, e qui chiamati per la loro abilità al punto di vedersi assegnare una casa nelle vicinanze dello scomparso monastero di Sant'Andrea, di cui resta visibile solo una parte del chiostro.
A Genova piace pensare che il giovane Cristoforo, subito interessato a cose ben diverse della lavorazione della lana, affacciandosi ai bassi muri che delimitavano le stradine che salivano e salgono la collina, osservasse con sguardo acuto il mare, il cui orizzonte si saldava con il cielo. guardando le imbarcazioni che uscivano dal1'antico porto la cui imboccatura era proprio sotto la collina, cercando di capire quali fossero i venti che spiravano e quali manovre dovessero fare i marinai per poter uscire in mare aperto.
D'altro canto sappiamo quanto la conoscenza dei venti abbia influito sul successo della sua idea di trovare 1'Oriente andando a occidente ...
Durante la preparazione del recente convegno «Il cinema e la Bibbia» che si è tenuto proprio a Genova a palazzo San Giorgio, di fronte alle più che giustificate perplessità di alcuni membri del Consiglio Direttivo e del Comitato Scientifico, che si domandavano quanto quel tema entrasse in sintonia con la Bibbia, che osservavano che nella Bibbia ci sono già di per sé tanti argomenti diretti e indiretti, che forse non valeva la pena di accostarla a un'arte (ma poi il cinema sarà proprio un'arte o solo un'illusione creata da una rifrazione luminosa?) che tanto fa discutere, ebbene proprio in quei momenti e anche dopo il convegno questa nostra osservazione da genovese mi è spesso ritornata in mente.
Ho provato a guardare in modo diverso I'orizzonte che si salda con il mare e ho avuto la netta sensazione che, pur nel rispetto di quella che è la tradizione consolidata di Biblia, con tutte le sue attività che tanto successo hanno avuto, qualche volta anche noi dovremmo cercare di immaginare che cosa c'è oltre quella linea indefinita che tanto attirava il giovane Colombo e farci prendere, pur con i piedi ben piantati nella nostra cultura, dalla curiosità e dalla voglia di attraversare quella linea ideale.
In fondo non è così che possiamo dimostrare quanto è importante per noi oggi la Bibbia, per il nostro essere donne e uomini capaci di ascoltare, di ricordare, di fare memoria, ma di volgere anche lo sguardo in avanti?

Sandro Badino


L'ASINO DI BRESSON
In memoria del grande maestro Robert Bresson, morto appena dopo il nostro convegno, iI 18 dicemhre 1999 a Parigi, presentiamo questo testo che riproduce il bell' intervento integrativo pronunciato da Alberto Corsani, redattore del settimanale «Riforma» e critico cinematografico, nel corso del convegno.
Fra i cineasti contemporanei Robert Bresson (nato nel 1907, non lavora più dal 1983) gode dello statuto di un maestro che non ha «fatto scuola»: benché alcuni autori di una generazione più giovane (Kiarostami, Schrader, Haneke) si richiamino in maniera più o meno diretta ad alcuni elementi del suo linguaggio, il suo personalissimo modo di comporre il film resta unico e immediatamente riconoscibile. Un'austerità delle forme che non concede nulla allo spettacolo: 1' impiego di attori non professionisti ai quali chiede di pronunciare le loro battute nel modo più freddo e impersonale possibile: una scansione delle sequenze costruita sui dettagli, sull'ellissi e sul troncamento delle azioni; la riproduzione iterativa di atti particolarmente importanti: il rifiuto della musica a meno che non se ne veda la fonte: il ripudio per ogni forma di «teatro filmato»: sono tutti elementi teorizzati dall'autore (R.Bresson, Note su! cinematografo, Marsilio, Venezia 1986) con lapidarie asserzioni programmatiche, redatte nel corso di vari decenni parallelamente alla realizzazione, del tutto coerente, dei suoi film. Un modo di girare definito ascetico, come ascetica è per certi versi la materia di un regista cattolico per formazione, ma di un cattolicesimo (la provenienza è dal Puy-de-Dôme) vissuto in maniera interiore e intransigente, da alcuni definito giansenista.
Non per questo il cinema di Bresson è astratto. Come scriveva il teologo protestante André Dumas nella prefazione a una raccolta di recensioni redatte insieme alla moglie Francine (A. e F. Dumas, L'amour et la mort au cinéma, Labor et Fides, Genève 1983), ci sono film che «parlano dell'uomo esattamente come ne parla il prologo biblico di Genesi 1-2. Perché la Bibbia racconta 1'uomo come egli è e gli uomini sono tali quali la Bibbia li racconta (...). A1 centro della vita di tutti gli umani c'è 1'amore, la non-solitudine. di cui la Bibbia ha fatto il culmine nei suoi due racconti della creazione, per altri versi tanto radicalmente opposti ». E più avanti i Dumas pongono la domanda che ognuno si pone di fronte ai personaggi e alla storia di ogni film affrontato: chi ha, in questa vicenda, la parola definitiva: il destino o la Grazia?
Concretissimo, nelle proprie speranze e debolezze, il curato che Bresson prende a prestito dal Diario di Bernanos (il film è del 1950) scrive nell'ultima pagina della propria vita: «Tutto è grazia». E la Giovanna d'Arco che il film di Bresson segue per il tramite delle carte processuali (Le procès de Jeanne d'Arc, 1962) conosce la grazia come vita in una dimensione ulteriore, dove la sofferenza sia cessata. Ma va sul rogo. Prende piede, nella poetica dell'autore, una riflessione sul dolore e sul male umani che è motivo di attenzione da parte del protestantesimo: la sofferenza dei suoi personaggi non ha quasi mai un valore redentivo o salvifico. Si soffre e basta. Ci si trova di fronte a eventi più grandi delle umane capacità di fronteggiarli, e, a seconda che la fede soccorra o meno, li si può considerare frutto del destino o della grazia. Ma ciò non migliora la condizione di nessuno: né di chi soffre né del mondo che lo circonda e che resta identico a sé. È così per Mouchette ( 1967, ancora da Bernanos), ragazza poverissima, dileggiata dalle compagne di scuola. costretta ad accudire il fratellino nell'imminenza della morte della mamma, violentata da un marginale di una società rurale materialmente e moralmente sfatta: è così nell,ultimo film (L'argent, 1983, da Tolstoj) per il giovane casualmente spacciatore di una banconota falsa e da lì in poi condotto alla delinquenza.
È così, a modo suo, per 1'asino Balthazar (Au hasard Balthazar, 1966) che, passando di padrone in padrone, fra i ragazzini affezionati, un circo, un contrabbandiere, si piega alla volontà degli uomini ricevendone in cambio raramente affetto. quasi sempre botte, trascuratezza, spregio, finché morirà a causa di una pallottola vagante in una sparatoria. La figura dell'asino rimanda di per sé a una serie di riferimenti: da quello della tarda latinità (Apuleio) alla figura di chi lavora per gli altri (trasporta uomini e cose, gira la macina, costituisce il perno di un girotondo-inseguimento con cui il teppista Gérard concupisce Marie), prendendo su di sé le conseguenze della malvagità umana. Per certi versi agnello sacrificale, ma anche, come nota René Prédal (R.Prédal, Tutto i1 cinema di Bresson, Baldini & Castoldi, Milano 1998) animale della natività e della Domenica delle Palme, esso rimanda all'episodio biblico dell,asina di Balaam (Numeri 22) che per tre volte devia dal percorso avendo scorto 1'angelo di Dio a sbarrarle il cammino. Come Balthazar, per questa sua ostinazione a non tenere il passo, essa riceve da Balaam le percosse. Ma poi il Signore «apre gli occhi» a Balaam, ciò che non accade nell'universo di Bresson: chi sfrutta Balthazar sfrutta anche i propri simili, la violenza non è subita dal solo asino. ma permea ogni umana attività in maniera irredimibile.
Nel finale si assiste invece a una sorta di capovolgimento della pecora smarnta (Luca 15 ). Balthazar, ferito a morte, si corica al centro di un gregge di pecore al pascolo. La pecora, anziché essere smarrita, si moltiplica per decine e decine, e si fa accogliente nei confronti di questo altro animale, lui sì,  smarrito ormai definitivamente. Fra loro 1'asino si addormenta, in uno scampanio ininterrotto che orienta il tempo del film su due dimensioni contraddittorie e parallele: 1'attimo sempre diverso (ogni muso di pecora o di agnello, ogni suono di campana è diverso dal precedente) e la continuità di uno sfondo sempre uguale. quasi un basso continuo (i tratti sonori e visivi del gregge). Così come la parabola biblica, a cui per vie oblique e mediate rimanda il film, è al tempo stesso parola singola e Parola del Signore.

Alberto Corsani


ESTREMI DELLA RASSEGNA STAMPA PERVENUTICI SUL CONVEGNO «IL CINEMA E LA BIBBIA»:
Lucia Pelagatti, Biblia quest'anno si occupa di cinema, "Jesus", settembre 1999; Cinema e Bibbia, "La Voce di Ferrara", 16 ottobre 1999; Graziella Merlatti, Quando i1 cinema racconta la Bibbia, "Settimanale Cattolico", 26 ottobre 1999; Rossana Sisti, La Bibbia i1 primo ciak, "Avvenire - Agorà", 27 ottobre 1999; Roberto Pugliese, La Bibbia al cinema fra cartapesta e metafora, "Il Gazzettino di Venezia", 30 ottobre 1999; Raffaella Grassi, Il Sacro rende quanto un Sanremo, "Il Secolo XIX", 2 novembre 1999; Renato Venturelli, Quella di Huston non è la voce di Dio, "Il Lavoro - supplemento di Repubblica", 2 novembre 1999; Giuseppe Calzolari, Quanti film dalla Bibbia. Un 'saccheggio' perpetrato attraverso 250 pellicole, "Gazzetta di Parma", 3 novembre 1999; Graziella Merlatti, Un'approfondita riflessione su1 rapporto 'cinema-Bibbia', "L'Osservatore Romano", 4 novembre 1999: idem, Il cinema ama la Bibbia, "Settimanale Cattolico", 9 novembre 1999: Luciano Grandi, Come il cinema racconta la Bibbia, "Settimana''. 14 novembre 1999'; Alberto Corsani, Quando la bibbia incontra il ciriema; Uomini e donne di oggi interpellati dalla Bibbia; L'associazione Biblia: da 15 anni un'attività di studio della cultura biblica, "Riforma", 19 novembre 1999; Anna Maria Sancricca, Il cinema e la Bibbia. convegno di Biblia, e Nazareno Taddei, La metafora della Passione (Dreyer. Bergman. Tarkovskij). EDAV 275, dicembre 1999.

Sono state inoltre trasmesse:
sabato 30/10/99 "Uomini e profeti" (RADIO 3), una registrazione effettuata con interventi del prof. Pellizzari e del prof. Levi Della Torre; RAI 3 regionale, un'intervista al prof. Stefani; 14 e 15/11/99, riprese della troupe di "Protestantesimo'' (RAI 2).


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