È comprensibile che molti nella chiesa tendano a non considerare
canonico e, contro la regola tradizionale, a staccare dal resto del libro
questo prologo che sancisce la situazione tragica dei secoli cristiani,
fondati sulle sacre Scritture conosciute nelle versioni greche, latine
e poi moderne, e cioè su una conoscenza delle Scritture che le Scritture
stesse dicono immiserita e parziale. Ma la vicenda della parola di Dio
nella storia consiste nel suo esser via via in ogni senso meno udibile
(Lc., 18,8; Mt., 24, 12). (Premi qui
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Sergio Quinzio, Un commento alla Bibbia, Adelphi,
Milano 1973, pp. 84-85.
Come sempre per valutare le pagine di Quinzio non bisogna affidarsi
all’acribia filologica: occorre essere afferrati dalla forza delle intuizioni
in esse contenute. Pochi leggono il Prologo dell’Ecclesiastico – ormai
più conosciuto come Siracide – e quasi nessuno trae da esse una
prospettiva teologica legata alla "grandezza e miseria" della lingua ebraica.
Quinzio invece lo fa. Molti ne sono affascinati, molti altri possono rimanere
perplessi e persino irritati; pochissimi restano indifferenti.
Quelle qui enunciate non sono certo le uniche ragioni per iniziare o proseguire nello studio della lingua ebraica: accanto a motivi di questo tipo ne esistono altri di matrice culturale, linguistica, filologica o ispirate da una nobile curiosità intellettuale e via discorrendo. Tutte, lo assicuriamo, troveranno ospitalità nel corso di Biblia. P.S.
PROGRAMMA Anche quest'anno torneremo a Vicenza dove ci siamo sempre trovati tanto bene. Leggeremo i primi undici capitoli del Deuteronomio (i principianti una scelta antologica e precisamente i capitoli 5 e 6, ed eventualmente l'8). Avremo, come da tradizione, alcune lezioni in comune: Paolo De Benedetti ci offrirà una introduzione al Deuteronomio; Nicoletta Menini sui verbi deboli; infine avremo due visiting professors: rav Luciano Caro per una lettura ebraica dello Shema' (Dt 6,4-8), e Piero Stefani che ci parlerà delle Dieci Parole (Dt 5,6-21). Ci saranno inoltre alcune novità pensate per rallegrare sempre meglio le nostre faticose giornate di studio.
Notizie pratiche Saremo ospitati presso le suore della ‘Casa del Sacro Cuore’, corso Padova 122, Vicenza (tel. 0444/505265). Dalla stazione prendere l’autobus n° 1 e scendere alla fermata di corso Padova. I corsi iniziano con la cena del 30 dicembre e terminano dopo il pranzo del 5 gennaio. Il costo è di euro 35 al giorno in camera doppia, o di euro 45 in camera singola, in pensione completa. La partecipazione al corso è di 90 euro, mentre i Soci di Biblia e gli studenti godranno di uno sconto e pagheranno 75 euro di partecipazione. Rispetto all'anno scorso il costo della pensione è leggermente aumentato, mentre la partecipazione è leggermente diminuita, in modo da lasciare quasi invariato l’esborso complessivo. (N.B.:Passando il puntatore del mouse sui riferimenti scritti in verde e sottolineati, appariranno i testi citati. Ciò non avviene, però, usando Netscape 4.x) LE DIECI PAROLE
I dieci comandamenti (o meglio "Le dieci parole"), nelle due versioni di Es 20.2-17 e Dt 5, 6-21 è la legislazione data da Dio al suo popolo portato fuori dall'Egitto verso la libertà della terra promessa. In realtà non è la prima norma che Dio dà, le prima si trova infatti in Es 19,1 ("Al terzo mese dall'uscita degli Israeliti dal paese di Egitto, proprio in quel giorno, essi arrivarono al deserto del Sinai" trad. CEI) dove troviamo l'inizio di un calendario. Come mai? Perché la prima manifestazione di libertà per l'uomo sta nella gestione del suo tempo che non è più quello in cui un padrone impone i suoi servizi. Il testo delle dieci parole faceva parte della lettura quotidiana nella liturgia del Tempio, poi sostituito con la lettura dello Shema' (Dt 6,4-9), perché il popolo non pensasse che il testo della Bibbia consistesse principalmente nei dieci comandamenti. Il Rabbino, nel suo procedere, fa riferimenti al midrash e altre modalità esegetiche rabbiniche. E spiega: quando leggo un testo biblico sono libero di ricavarne tutto quello che posso; da qui i diversi e talvolta contrastanti commenti sullo stesso passo biblico. Il midrash è interpretazione: posso accettarla oppure no. Diverso è quando si legge un testo per ricavarne una normativa pratica (halakhà): allora occorre porsi nella tradizione e seguirne le regole ermeneutiche. Il primo comandamento non comincia con un ordine, ma è un'affermazione di fondo, una "indicazione del Mittente": Io sono quel Dio che ti ha fatto uscire dalla schiavitù, un Dio che si presenta nella storia (non l' ‘Eterno’ trascendente e insensibile ai dolori dell'uomo, come poi Paolo De Benedetti ci ha spiegato). Terzo comandamento: "non pronuncerai il nome di Dio invano". Di qui la perdita della pronuncia esatta del tetragramma per il timore che il Nome scappasse detto a casaccio e fosse impegnato nei giuramenti o in cose da quattro soldi. Quarto comandamento: "osserva il giorno di sabato come Dio ti ha comandato" (dove? quando?). In esso sono proibite le opere (melakhà) che Dio aveva compiuto nella creazione del mondo: "in sei giorni farai tutti i tuoi lavori", senza stregonerie e superstizioni legate a venere o a marte; quando arriva il sabato considera che tutto quello che hai fatto è completo. Il quinto comandamento è l'unico che promette un premio: la felicità e una vita più lunga. Il settimo comandamento proibisce l'adulterio, vieta che un uomo si unisca con una donna sposata. È messo dopo il divieto di omicidio perché l'adulterio è portatore di morte: quando in una società si considera normale questo atto, Dio scatenerà la sua ira, secondo il midrash, sia sui giusti che sugli ingiusti, perché per tutte le trasgressioni Dio ha pazienza, ma non per l'adulterio, né per gli illeciti sessuali descritti in Lv18 (unioni con consanguinei, con animali, con persone dello stesso sesso: non renderti impuro con quelle cose per cui io caccio davanti a voi i popoli che se ne sono contaminati, contaminando la terra). L'ottavo sta per "non rapire", non togliere a nessuno la libertà data da Dio con l'uscita dall'Egitto: anche questa colpa è punibile con la pena di morte. Il decimo comandamento "non desiderare" sembra un assurdo, essendo il desiderio un impulso vitale. Qui si tratta di un desiderio per cui ci si dà da fare, compreso il "non rubare" attribuito di solito al settimo comandamento. Non fare niente per appropriarti delle cose di un altro. Ponendo su una tavola i primi cinque comandamenti e su un'altra gli altri cinque, il midrash ne trae diverse considerazioni, alcune un po' strambe, altre profonde, come la considerazione che la prima parola dei comandamenti è l'’Anochi ("Io") del Signore, e l'ultima è "il prossimo" che incontro nel mondo di Dio. Ultimo insegnamento: invece di me‘od ("forza") nello Shema‘ (Dt 6,5), leggi middà ("misura") e potrai ricavarne che bisogna amare Dio con tutti gli istinti, quello buono e quello cattivo, così farai unità dentro di te, come dice Buber, e non sarai schizofrenico. Romana Pessina
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