CORSO DI EBRAICO BIBLICO
Vicenza, 30 dicembre 2002- 5 gennaio 2003

Considerazioni attorno all’ebraico 
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" ‘Non c’è equivalenza tra le cose espresse originariamente in ebraico e la loro traduzione in un’altra lingua, anzi, se si considera la stessa Legge, i Profeti e gli altri libri, la loro traduzione differisce notevolmente da ciò che esprime il testo originale’ (Ecclesiastico, Prologo).

È comprensibile che molti nella chiesa tendano a non considerare canonico e, contro la regola tradizionale, a staccare dal resto del libro questo prologo che sancisce la situazione tragica dei secoli cristiani, fondati sulle sacre Scritture conosciute nelle versioni greche, latine e poi moderne, e cioè su una conoscenza delle Scritture che le Scritture stesse dicono immiserita e parziale. Ma la vicenda della parola di Dio nella storia consiste nel suo esser via via in ogni senso meno udibile (Lc., 18,8; Mt., 24, 12). (Premi qui il mouse per le citazioni contenute in questa pagina)
La lingua del popolo di Dio subisce radicali sconvolgimenti successivi. La lingua nella quale Dio parla ad Abramo, a Isacco e a Giacobbe è l’aramaico delle tribù del deserto siriaco e della Mesopotamia. Ma gli ebrei una volta stabiliti in Canaan parlano l’ebraico, una lingua diversa tratta dal cananeo del luogo, che smarriscono poi nell’esilio di Babilonia dove ritrovano l’aramaico, destinato a diventare poco prima di Gesù la lingua comune a tutti gli ebrei di Palestina. L’ebraico viene dunque parlato soltanto durante il tempo in cui Israele regna sulla ‘terra santa’, ma resta per sempre la lingua sacra in cui è fissata la parola di Dio. Anche l’alfabeto usato dal popolo di Dio subisce sconvolgimenti altrettanto radicali: l’antichissimo alfabeto – quello in cui l’ultima lettera, la tau, era rappresentata con una croce (Giobbe, 31, 35) – viene abbandonato al tempo dell’esilio, quando insieme alla lingua gli ebrei adottano, modificandolo, l’alfabeto aramaico, e in esso trascrivono e trasmettono le Scritture. Così, la lingua sacra è la lingua vivamente parlata dal popolo di Dio nel tempo del suo regno in ‘terra santa’, ma scritta secondo l’alfabeto del tempo della peregrinazione e dell’esilio, perché la stessa necessità di scrivere, e cioè di mediare e conservare nel tempo la parola di Dio, è, come l’intero ordine sacro, una necessità tragica, un segno di lontananza."

Sergio Quinzio, Un commento alla Bibbia, Adelphi, Milano 1973, pp. 84-85.
Come sempre per valutare le pagine di Quinzio non bisogna affidarsi all’acribia filologica: occorre essere afferrati dalla forza delle intuizioni in esse contenute. Pochi leggono il Prologo dell’Ecclesiastico – ormai più conosciuto come Siracide – e quasi nessuno trae da esse una prospettiva teologica legata alla "grandezza e miseria" della lingua ebraica. Quinzio invece lo fa. Molti ne sono affascinati, molti altri possono rimanere perplessi e persino irritati; pochissimi restano indifferenti.
Quelle qui enunciate non sono certo le uniche ragioni per iniziare o proseguire nello studio della lingua ebraica: accanto a motivi di questo tipo ne esistono altri di matrice culturale, linguistica, filologica o ispirate da una nobile curiosità intellettuale e via discorrendo. Tutte, lo assicuriamo, troveranno ospitalità nel corso di Biblia.
P.S.


PROGRAMMA

Anche quest'anno torneremo a Vicenza dove ci siamo sempre trovati tanto bene. Leggeremo i primi undici capitoli del Deuteronomio (i principianti una scelta antologica e precisamente i capitoli 5 e 6, ed eventualmente l'8). Avremo, come da tradizione, alcune lezioni in comune: Paolo De Benedetti ci offrirà una introduzione al Deuteronomio; Nicoletta Menini sui verbi deboli; infine avremo due visiting professors: rav Luciano Caro per una lettura ebraica dello Shema' (Dt 6,4-8), e Piero Stefani che ci parlerà delle Dieci Parole (Dt 5,6-21). Ci saranno inoltre alcune novità pensate per rallegrare sempre meglio le nostre faticose giornate di studio. 

  • La sera dell'ultimo dell'anno faremo festa: tutti, compreso le suore che ci ospitano, sono invitati a preparare in anticipo un intervento personale o a gruppi per la durata massima di 10/15 minuti (danza ebraica, musica, brevi recite di poesie, canzoni o altro) e di telefonare a Liliana Delli Ponti (02/48007664 o 339/1504791), regista della serata, in modo che possa già iniziare a coordinare i vari interventi. 
  • Il 2 mattina sarà libera per le visite: potremo andare a Venezia in treno a visitare la Mostra dei Faraoni (chi desidera aderire a questa proposta dovrà prenotare e comprare il biglietto da casa tramite la Banca del Lavoro, per non fare delle code infinite…) o, in alternativa (ma si può visitarla anche il 30 dicembre prima di arrivare), alla Cappella degli Scrovegni di Padova, recentemente restaurata.
  • Il 4 gennaio pomeriggio (dalle ore 14 alle 16) visiteremo una bella villa veneta con affreschi e giardini (andremo con macchine private).
Raccomandiamo ai partecipanti di leggere con attenzione i testi in italiano e, i più bravi anche in ebraico, per essere preparati a seguire bene il corso e anche a fare eventuali interventi o domande. Quanto a coloro che iniziano quest’anno, raccomandiamo loro di imparare intanto l’alfabeto, e ai principianti dell’anno scorso di riguardarsi tutti gli appunti presi a suo tempo.

Notizie pratiche

Saremo ospitati presso le suore della ‘Casa del Sacro Cuore’, corso Padova 122, Vicenza (tel. 0444/505265). Dalla stazione prendere l’autobus n° 1 e scendere alla fermata di corso Padova. I corsi iniziano con la cena del 30 dicembre e terminano dopo il pranzo del 5 gennaio. Il costo è di euro 35 al giorno in camera doppia, o di euro 45 in camera singola, in pensione completa. La partecipazione al corso è di 90 euro, mentre i Soci di Biblia e gli studenti godranno di uno sconto e pagheranno 75 euro di partecipazione. Rispetto all'anno scorso il costo della pensione è leggermente aumentato, mentre la partecipazione è leggermente diminuita, in modo da lasciare quasi invariato l’esborso complessivo.


R E L A Z I O N E

(N.B.:Passando il puntatore del mouse sui riferimenti scritti in verde e sottolineati, appariranno i testi citati. Ciò non avviene, però, usando Netscape 4.x)

LE DIECI PAROLE
Intervento del rabbino Luciano Caro al corso di ebraico biblico su Dt 1-11
(Vicenza 30.12-5.1 2003)

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Il rabbino Caro, come già altre volte, è venuto al nostro corso invernale di ebraico biblico. E noi lo ringraziamo molto.
I dieci comandamenti (o meglio "Le dieci parole"), nelle due versioni di Es 20.2-17 e Dt 5, 6-21 è la legislazione data da Dio al suo popolo portato fuori dall'Egitto verso la libertà della terra promessa. In realtà non è la prima norma che Dio dà, le prima si trova infatti in Es 19,1 ("Al terzo mese dall'uscita degli Israeliti dal paese di Egitto, proprio in quel giorno, essi arrivarono al deserto del Sinai" trad. CEI) dove troviamo l'inizio di un calendario. Come mai? Perché la prima manifestazione di libertà per l'uomo sta nella gestione del suo tempo che non è più quello in cui un padrone impone i suoi servizi.
Il testo delle dieci parole faceva parte della lettura quotidiana nella liturgia del Tempio, poi sostituito con la lettura dello Shema' (Dt 6,4-9), perché il popolo non pensasse che il testo della Bibbia consistesse principalmente nei dieci comandamenti. Il Rabbino, nel suo procedere, fa riferimenti al midrash e altre modalità esegetiche rabbiniche. E spiega: quando leggo un testo biblico sono libero di ricavarne tutto quello che posso; da qui i diversi e talvolta contrastanti commenti sullo stesso passo biblico. Il midrash è interpretazione: posso accettarla oppure no. Diverso è quando si legge un testo per ricavarne una normativa pratica (halakhà): allora occorre porsi nella tradizione e seguirne le regole ermeneutiche.
Il primo comandamento non comincia con un ordine, ma è un'affermazione di fondo, una "indicazione del Mittente": Io sono quel Dio che ti ha fatto uscire dalla schiavitù, un Dio che si presenta nella storia (non l' ‘Eterno’ trascendente e insensibile ai dolori dell'uomo, come poi Paolo De Benedetti ci ha spiegato).
Terzo comandamento: "non pronuncerai il nome di Dio invano". Di qui la perdita della pronuncia esatta del tetragramma per il timore che il Nome scappasse detto a casaccio e fosse impegnato nei giuramenti o in cose da quattro soldi.
Quarto comandamento: "osserva il giorno di sabato come Dio ti ha comandato" (dove? quando?). In esso sono proibite le opere (melakhà) che Dio aveva compiuto nella creazione del mondo: "in sei giorni farai tutti i tuoi lavori", senza stregonerie e superstizioni legate a venere o a marte; quando arriva il sabato considera che tutto quello che hai fatto è completo.
Il quinto comandamento è l'unico che promette un premio: la felicità e una vita più lunga.
Il settimo comandamento proibisce l'adulterio, vieta che un uomo si unisca con una donna sposata. È messo dopo il divieto di omicidio perché l'adulterio è portatore di morte: quando in una società si considera normale questo atto, Dio scatenerà la sua ira, secondo il midrash, sia sui giusti che sugli ingiusti, perché per tutte le trasgressioni Dio ha pazienza, ma non per l'adulterio, né per gli illeciti sessuali descritti in Lv18 (unioni con consanguinei, con animali, con persone dello stesso sesso: non renderti impuro con quelle cose per cui io caccio davanti a voi i popoli che se ne sono contaminati, contaminando la terra). 
L'ottavo sta per "non rapire", non togliere a nessuno la libertà data da Dio con l'uscita dall'Egitto: anche questa colpa è punibile con la pena di morte.
Il decimo comandamento "non desiderare" sembra un assurdo, essendo il desiderio un impulso vitale. Qui si tratta di un desiderio per cui ci si dà da fare, compreso il "non rubare" attribuito di solito al settimo comandamento. Non fare niente per appropriarti delle cose di un altro.
Ponendo su una tavola i primi cinque comandamenti e su un'altra gli altri cinque, il midrash ne trae diverse considerazioni, alcune un po' strambe, altre profonde, come la considerazione che la prima parola dei comandamenti è l'’Anochi ("Io") del Signore, e l'ultima è "il prossimo" che incontro nel mondo di Dio.
Ultimo insegnamento: invece di me‘od ("forza") nello Shema‘ (Dt 6,5), leggi middà ("misura") e potrai ricavarne che bisogna amare Dio con tutti gli istinti, quello buono e quello cattivo, così farai unità dentro di te, come dice Buber, e non sarai schizofrenico.
Romana Pessina

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