"Crescete e moltiplicatevi"

 

Amos Luzzatto

Questi due verbi, intesi indifferentemente come un ordine divino o come una benedizione divina, sono di solito tradotti in italiano con "crescete e moltiplicatevi". La traduzione corretta, a mio parere, sarebbe "siate fecondi e moltiplicatevi"; il primo verbo è ovviamente una pre­condizione per il secondo.
L'espressione compare, nel racconto della Creazione, per la prima volta in Genesi 1,22, in relazione agli animali acquatici e ai volatili, che sono destinati a pullulare nell'acqua (v. 20), a riempire i mari (v. 22) e ad essere numerosi sulla terra. E' singolare che questi verbi non siano usati per gli animali terrestri, a proposito dei quali è solo detto che "Dio vide che era cosa buona".
Creato l'uomo, leggiamo: " E Dio li benedisse dicendo loro: pru u-rvu e riempite la terra e sottomettetela, e dominate i pesci del mare e gli uccelli del Cielo e tutti i viventi che strisciano sulla Terra". "Dominate" non significa però "mangiateli", perché è detto espressamente che tanto gli uomini quanto gli animali avrebbero dovuto nutrirsi di vegetali (1, 29-30). Per capire (forse!) il significato di questo verbo, dobbiamo giungere fino al 4, 2 quando apprendiamo che Abele era pastore di ovini; a che scopo lo facesse, visto che non aveva avuto ancora da Dio il permesso di nutrirsi di carne è poco chiaro. Forse soltanto per il latte (e i suoi derivati?) o per utilizzarne la pelle o la lana?
Per trovare una differenza "biologica" fra il regno vegetale e quello animale, dobbiamo giungere fino al cap. 8, 11 quando è evidente che gli alberi erano sopravvissuti al diluvio universale (come?). Non sappiamo nulla invece della distinzione degli animali in predatori e predati, ma forse possiamo affermare che essa non era - ancora - parte della loro stessa natura, dato che, fosse stato il contrario, sarebbe stata alquanto problematica la loro convivenza dentro l'arca di Noè; gli animali sono invece già classificati in "puri" e "non-puri"; e questo è decisamente funzionale all'offerta dell'olocausto fatta da Noè dopo il diluvio stesso, ma probabilmente c'era già prima, ai tempi dell'offerta di Abele.
Poi, per la prima volta, al cap. 8, 17, accanto a. pru u-rvu viene usato un altro verbo, almeno per quanto riguarda l'uomo: we-sharetsù che generalmente viene tradotto, quando si riferisce ad animali (1, 20) con "brulicate", " pullulate"; e questo ci fa pensare a vermi, a serpentelli, a rettili, al massimo a topolini. Ma si può immaginare l'essere umano che brulica? No, di certo. Ed allora? E' la Bibbia stessa che viene in nostro soccorso. Al succitato versetto 17, il secondo emistichio è diviso da un parallelismo secondario, segnato dal zaqef qatan dei massoreti:

"'we-sharetsu 'al ha-arets — ufru u-rvu 'al ha-arets".

A me pare chiaro che questo suggerisce di leggere "Sharetsu" nel senso di "espandetevi", "propagatevi".
In altre parole, una popolazione umana, come qualsiasi altra, aumenta di numero nel tempo ma anche nello spazio.

Del resto, ne abbiamo una conferma in Esodo 1, 12: "Per quanto lo opprimessero, altrettanto esso (leggi: Israele) aumentava di numero (yirbu) e dilagava (yifrots).

La radice ShaRaTs sarebbe dunque sinonimo non tanto della radice RaVaV quanto di PaRaTs che le assomiglia per assonanza per due radicali (come se fosse scritto "brulicando dilagavano"). Per completezza va detto però che secondo il vocabolario del Gesenius, in Etiopico la stessa radice RBB significherebbe "espandersi, diffondersi".
Se questa lettura fosse corretta, il "crescete e moltiplicatevi" andrebbe inteso nel duplice senso di "aumentate di numero" e "coprite nuovi territori".
Possiamo provare a fornire una lettura in una chiave, e forse con una terminologia, moderna?
Una popolazione prolifica di piccole dimensioni, in presenza di un ambiente favorevole e di abbondanti risorse alimentari, dovrebbe essere caratterizzata da una crescita malthusiana, cioè in progressione geometrica. Il grafico che la descrive è quello di una curva esponenziale. In realtà, come ci insegnano Wilson e Bossert, "qualsiasi popolazione cui fosse, per assurdo, consentito di accrescersi anche per pochi anni secondo la sua piena capacità esponenziale, crescerebbe tanto che arriverebbe infine a pesare quanto tutto l'universo visibile e a espandersi a una velocità prossima a quella della luce". La specie umana potrebbe raggiungere questo traguardo entro soli 5000 anni! (Ma l'umanità provvede con le guerre e con i massacri a scongiurare questo pericolo).
La crescita esponenziale (con tasso di crescita costante nel tempo) è tuttavia possibile e concretamente osservabile per periodi brevi, sia con l'occupazione di nuove terre precedentemente disabitate, che con cambiamenti radicali e innovazioni rivoluzionarie nella produzione di alimenti.
Vi è dunque, implicita nella benedizione di pru u-rvu la sollecitazione a diffondersi sulla Terra.
Ma diffondersi: solo orizzontalmente o anche verticalmente? Invadere nuove aree o dare vita a grandi città, a concentrazioni di popolazioni? La Bibbia pone, per la verità, anche questo problema, con l'episodio della Torre di Babele, primo grattacielo della storia umana, che viene palesemente condannato. Dunque, la preferenza netta che ci trasmette il testo biblico è per la diffusione sul territorio, non per le grosse concentrazioni.
Incidentalmente, con questo episodio la Bibbia parrebbe suggerirci che non sarebbe la dispersione orizzontale quella che genera il plurilinguismo, ma al contrario: verrebbe prima la differenziazione linguistica, poi da questa deriverebbe di necessità la spinta a disperdersi . Non è detto che si debba accettare questa ipotesi, ma certamente è un concetto che fa riflettere.

Ma, come abbiamo detto, la stessa crescita malthusiana non può protrarsi all'infinito; in effetti, a partire da un certo momento, il tasso di crescita non si mantiene costante ma si riduce, sia perché cala la natalità sia perché aumenta la mortalità. La curva di crescita della popolazione non è più una esponenziale ma mostra una caratteristica forma a "S", che si chiama "curva logistica". Essa ci insegna che una popolazione, supposta isolata, si autolimita nel suo accrescimento. Una popolazione piccola ha una crescita esplosiva, perché può ancora trovare abbondanza di mezzi di nutrizione; ma più cresce più tende a stabilizzarsi attorno a una dimensione numerica costante.

Riassumendo: la crescita della popolazione ha dei limiti. Il limite di stabilità nel tempo, cui tende una popolazione supposta isolata, su un territorio dato, ma poi, anche un limite nello spazio, perché se è vero, biblicamente, che la benedizione-augurio di Dio all'uomo è di riempire la Terra, ne deriva che, poiché la Terra stessa non è infinita, è "riempibile"; dunque, il pru u-rvu avrebbe un limite intrinseco.
Naturalmente, le cose sono ancora più complicate. Perché le dimensioni troppo piccole di una popolazione potrebbero ostacolare gli incontri fra partner e pertanto ridurre gli accoppiamenti. In effetti, i tassi di crescita maggiori si riscontrano in popolazioni di dimensioni intermedie fra quelle molto piccole, dove gli incontri sono rari e quelle molto grandi, dove gli alimenti scarseggiano (cosiddetto effetto Allee). Biblicamente, se i nostri Patriarchi avessero continuato a migrare da Canaan in Mesopotamia e ritorno per "incontrare" le loro spose, come accadde per Isacco e per Giacobbe, dubito che il popolo ebraico si sarebbe mai formato...
Nella dinamica delle popolazioni esistono poi altri aspetti, come quello della fecondità femminile e della mortalità infantile.
La Bibbia si interessa precocemente di questi problemi. Prima Abramo (Gen 17, 17) poi Sarà (Gen 18, 11-14) sanno bene che la fecondità dipende dalla struttura di una popolazione per età. E hanno ragione. Ma la risposta è: "vi è qualcosa di irrealizzabile per Dio?" (Gen 18,14).
Quanto alla mortalità infantile, essa certamente preoccupava Abramo che era in ansia per Ismaele (Gen 17, 18) e doveva trattarsi di una piaga diffusa, assieme alla mortalità neonatale che ancora al giorno d'oggi fa descrivere alla curva della sopravvivenza in funzione delle età una rapida discesa per i primissimi tempi di vita, poi una risalita e una nuova discesa per le età avanzate.
A questo punto, dobbiamo parlare degli ebrei in Egitto perché, anche a quanto ci narra la Bibbia, la trasformazione dei nostri antenati da una famiglia o un gruppo di famiglie in una popolazione di massa sarebbe avvenuta proprio qui. Si pone subito la domanda: è immaginabile una tale crescita tumultuosa? Non è esagerata?
        Se gli ebrei avessero trovato nella terra di Goshen condizioni ideali di vita, in isolamento dal resto della popolazione — gli egiziani aborrivano coloro che facevano i pastori, come gli ebrei, afferma Gen 46, 34' — un semplice calcolo2 fornirebbe il 20 per mille di tasso annuo di incremento della popolazione ebraica. Si tratta di un tasso eccezionalmente elevato, ma non ancora miracoloso. Tanto più che, date le condizioni di benessere e di protezione regale, almeno ai tempi iniziali, è ipotizzabile l'affluenza di non ebrei (in quantità ignota) e la loro aggregazione alla popolazione ebraica. In Esodo 12, 38 si parla in effetti esplicitamente di un 'erev rav, una popolazione mista, partita assieme agli ebrei dall'Egitto.

Ma quello che ci interessa maggiormente del periodo egiziano, è il decreto infanticida del Faraone. Si tratta del primo decreto del genere nella storia, almeno secondo la Bibbia; e si pone in contrapposizione netta all'ordine divino di pru u-rvu. Solo "un Dio" potrebbe porsi in alternativa a Dio. In effetti, c'è un verso strano, in Esodo 5, 2, laddove, in polemica con Mosè, il re egiziano dichiara: "Chi è [questo] Signore cui dovrei obbedire per lasciar andare via Israele? Io non conosco "il Signore" e non lascerò andar via Israele". Il Midrash (Shemot rabbà e Tanchumà) ritiene necessario a giusta ragione completare il quadro con una dichiarazione aggiunta del Faraone stesso: "Io sono il padrone del mondo, ho creato me stesso ed anche il Nilo!" E' un modo per dirci che gli egiziani lo ritenevano una divinità, anzi, la divinità, magari perversa e infanticida ma pur sempre da temere e servire.
Il Faraone non interviene sul pru (sulla fertilità), dove malgrado la sua asserita divinità resta impotente. Ma interviene dove può, sullo rvu, sulla moltiplicazione della discendenza.

Ma perché colpire solo i maschi?

Perché "se dovesse verificarsi una guerra, [gli ebrei] potrebbero aggiungersi ai nostri nemici, combattere contro di noi e poi andarsene dal Paese" (Es 1, 10). Il Faraone avrebbe dunque previsto una guerra non prima di una quindicina d'anni (il tempo perché i neonati di allora diventassero adulti atti alle armi); ma in questo caso, avrebbe dovuto uccidere subito tutti gli ebrei maschi; eppure non risulta che fosse stato emesso alcun ordine in questo senso, che fra l'altro lo avrebbe privato immediatamente di schiavi preziosi.
Si tratta palesemente di una scusa per giustificare una misura crudele che serviva a ben altro scopo. Il Faraone sapeva che il suo ordine non sarebbe stato eseguito nella totalità dei casi, tanto è vero che egli non prende alcuna misura punitiva nei confronti delle ostetriche (mentre il Signore Iddio addirittura le premia: Es 1, 16-22) limitandosi a ribadire l'ordine della soppressione dei maschi a tutto il suo popolo, con un'ovvia minore probabilità di successo. Lo scopo vero poteva essere solo la riduzione della popolazione ebraica, abbattendo drasticamente il numero delle possibile coppie fertili per il futuro; forse era questo addirittura una specie di sanguinario controllo delle nascite.

Né il Faraone temeva così di perdere braccia lavoratrici, perché era pronto a risolvere il problema aumentando lo sfruttamento e la produttività di quelli che restavano (Es 5, 7-19).

La permanenza degli ebrei in Egitto è caratterizzata da due fasi. Una prima fase benefica, con apparenti rapporti indifferenti con gli egiziani, abbondanza di cibo e condizioni adatte alla crescita della popolazione. Poi, una fase conflittuale, nella quale parrebbe interesse egiziano che gli ebrei aumentassero di numero, quanto basta per poter essere spremuti come schiavi, ma non tanto da poter rappresentare una minaccia. In termini moderni, siamo di fronte a una dinamica che coinvolge due popolazioni, con un rapporto dapprima indifferente, poi conflittuale. Ma se la conflittualità dovesse comportare la scomparsa della popolazione oppressa, andrebbe in crisi anche l'oppressore, in maniera non molto dissimile da quella per la quale una specie predatrice non può consumare totalmente la specie predata.

Se andiamo avanti nella lettura della Bibbia, cozziamo con un altro problema, quello delle dimensioni del verbo rvu, "moltiplicatevi".

Si ha l'impressione che sia molto difficile, per non dire impossibile, al di sopra di un certo numero, peraltro non specificato, continuare il conteggio. (Genesi 41, 49). E' come se, a partire da un certo numero, molto grande, cambiasse la qualità stessa del numero 3. Lo yissafer me-rov, "non può essere enumerato tanto è grande" (Genesi 16, 10 e 32, 13; I Re 3, 8 ; II Cr. 5, 6). In altri passo, la radice SFR è accoppiata alla radice MNH. ( I Re 8, 5; Osea 2, 1) ma MNH e manah non significa soltanto "numero" ma anche "insieme", in senso classificatorio, come in Isaia 53, 12; vorrebbe dire "essere incluso nella categoria di..., essere enumerato fra..."; del resto anche in ebraico moderno, "essere entrato di minyan significa "appartenere all'insieme degli ebrei maggiorenni".

A meno che, s'intende, lo jissafer me-rov non si debba tradurre che "non debba essere enumerato, perché è molto grande". Mi pare poco verosimile, ancorché grammaticalmente sostenibile.

Gli usciti dall'Egitto sarebbero stati (Esodo 38, 26) 630.550 maschi sopra ai 20 anni. Nelle pianure di Moav, poco prima di entrare nella Terra promessa, (Numeri 26, 51) essi sarebbero stati 601.730. Nel censimento davidico, secondo II Samuele 24, 9, sarebbero stati 800.000 di Israele e 500.000 di Giuda, in totale 1.300.000 uomini atti alle armi; ma i dati riferiti per il medesimo episodio da I Cronache (21, 5-6) sono di 1.100.000 di Israele e 470.000 di Giuda, in totale 1.570.000, senza contare le tribù di Levi e di Beniamino che non erano state censite. Le discrepanze sono troppo grandi per rendere attendibili questi numeri, che comunque appaiono francamente esagerati.

Ma nulla poteva interessare meno gli ebrei dei tempi biblici che la precisione scientìfica. Quello che a loro interessava era semmai rispondere alla domanda: pru u-rvu è una legge di natura, un auspicio augurale o una precisa volontà divina alla quale il fedele deve attenersi? In questo caso, e forse non solo in questo, essi rispondevano che era una legge di natura voluta da Dio, dalla quale ci si allontanava per colpa della malvagità umana. Ne derivava in ultima analisi che pru u-rvu era un dovere, una mitzwà.
Concluderei pertanto presentandovi un brano talmudico (TB Berakhot 10a): "In quei tempi si ammalò gravemente [il re] Ezechia; andò da lui il Profeta Isaia figlio di Amotz e gli disse: "fai testamento per la tua famiglia, perché stai per morire e non sopravviverai (Isaia 38, I): "Muori" in questo mondo e "non sopravviverai" nel mondo a venire. Gli disse [il re]: perché tutto ciò? Gli disse [il profeta]; perché non ti sei occupato di [adempiere] al "crescere e moltiplicarsi", [il re non era neppure sposato]. Gli disse [il re]: perché avevo visto per ispirazione divina che mi sarebbero nati figli indegni. Gli disse [il profeta]: perché ti occupi dei misteri di Dio? Ciò che ti è stato comandato devi farlo e devi eseguire ciò che desidera il Santo-Benedetto-Sia. Gli disse [il re]: allora, dammi [in sposa] tua figlia; forse per i meriti miei e tuoi ne verranno figli degni. Gli rispose [il profeta]: ormai la tua sorte è stata decisa. Gli disse [il re]: figlio di Amotz! Concludi la tua profezia e vattene! Dal padre di mio padre mi fu insegnato: anche se un spada affilata è posta sul collo di una persona, questi non deve rinunciare a invocare la clemenza divina. Si dice anche che questa frase fosse stata ripetuta assieme da R. Yochanan e da R. Eliezer, a commento del verso di Giobbe 13, 15,: Quand 'anche [Dio] mi stesse uccidendo, in Lui confiderei."

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1 Giuseppe consiglia i suoi di presentarsi al Faraone come anshé miqné e non come ro'é tson, con un eufemismo pudico, non tanto diverso dall'uso della perifrasi "appartenenti alla confessione mosaica" invece di "ebrei" di tanti secoli più tardi.

2 Per il tasso annuo di incremento, r, con N(0) la popolazione iniziale, N(t) quella finale ed "e" la base dei logaritmi naturali, la crescita malthusiana darebbe : N(t) = N(0).e^rt, cioè 600000 = 70.e^r.4OO. Passando dai numeri ai logaritmi e risolvendo per "r", otterremmo 0,02 .


3 Noi conosciamo i numeri naturali, gli interi, i razionali, i numeri reali e i numeri complessi; la Bibbia pare conoscere una specie di "gigantonumeri", di fronte ai quali non sa come procedere.

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