2.
MEDIEVALI (VII - XIV secoli)
LE DEVOZIONI PARTICOLARI
DEL SANTO, CAPITOLO CXLVIII; SUA COMMOZIONE NEL SENTIRE
NOMINARE L'AMORE DI DIO Penso che non sia inutile né indegno
toccare di passaggio e in breve le devozioni particolari di san
Francesco. Questo uomo praticava tutte le devozioni, perché godeva
dell'unzione dello Spirito, tuttavia provava
uno speciale affetto verso alcune forme particolari di pietà.
Fra le altre parole, che ricorrevano spesso nel parlare, non
poteva udire l'espressione «amore di Dio» senza provare una
certa commozione. Subito infatti, al suono di questa espressione
«amore di Dio» si eccitava, si commoveva e si infiammava, come se
venisse toccata col plettro della voce la corda interiore del
cuore. È una prodigalità
da nobili, ripeteva, offrire questa ricchezza in cambio dell'elemosina
e sono quanto mai stolti quelli che l'apprezzano meno del denaro.
Da parte sua, osservò infallibilmente sino alla morte il proposito,
che aveva fatto quando era ancora nel mondo, di non respingere
alcun povero che gli chiedesse per amore di Dio. Una volta
un povero gli chiese la carità per amore di Dio. Siccome
non aveva nulla, il Santo prese di nascosto le forbici e si preparò
a spartire la sua misera tonaca. E
l'avrebbe certamente fatto se non fosse stato scoperto dai frati,
ai quali però ordinò di provvedere con altro compenso al povero. Diceva:
«Dobbiamo amare molto l'amore di Colui che
ci ha amati molto» (concetto sviluppato nella preghiera di Francesco
"Absorbeat"). (Tommaso da Celano, Vita
seconda di San Francesco d'Assisi, in Fonti
Francescane, Edizioni Messaggero, Padova 1980, pp. 709-710) ABSORBEAT Rapisca, ti prego, o Signore,
l'ardente e dolce forza del tuo amore la mente mia da tutte le cose
che sono sotto il cielo, perché io
muoia per amore dell'amor tuo, come tu ti sei degnato morire
per amore dell'amor mio. (Fonti Francescane,
Laudi e Preghiere, o.c., p. 182)
A CHI LO
AMA, DIO PIACE IN TUTTO E SOPRA TUTTO I. IL DISCEPOLO.
Ecco il mio Dio ed il mio tutto. Che voglio di
più e che posso desiderare di meglio? 0 parola dolce e
piena di sapore! ma per chi
ama il Verbo, e non il mondo, né quel che c'è nel mondo. Dio
mio e mio tutto! Per chi lo capisce si è già detto abbastanza, ma
per chi ama è un piacere ripeterlo spesso. Dal momento che tu sei
presente tutto è gioioso, ma se tu sei assente ci infastidisce ogni cosa. Tu rendi il
cuore tranquillo e gli dai una gran pace
ed una gioia festosa. Tu ci permetti di avere un giusto senso
di ogni cosa e di lodarti
in tutto, né c'è qualcosa che senza di te ci possa a lungo piacere;
ma se qualcosa ci deve risultare gradita e veramente gustosa,
è necessario allora che sia presente la tua grazia, e che essa
sia resa più piacevole dal gusto della tua sapienza. 2. Se uno ti gusta, cosa mai non gusterà con
rettitudine? E se uno non ti gusta, che
mai potrà riuscirgli gioioso? Ma i sapienti di questo mondo e
coloro che trovano diletto nella carne vengono
meno davanti alla tua sapienza, poiché negli uni si ritrova una
grandissima vanità e negli altri la morte. Coloro che, invece,
ti seguono attraverso il disprezzo delle cose del mondo e la
mortificazione della carne si fanno riconoscere per veri sapienti,
dato che son
passati dalla vanità alla verità e dalla carne allo spirito. È a costoro che piace Dio, e tutto quello che si trova
di buono nelle creature, tutto lo riferiscono a lode del loro
Creatore. È per altro diverso, e molto diverso, il gusto che
si trova nel Creatore e nelle creature, nell'eternità e nel tempo,
nella luce increata e nella luce partecipata. 3. 0 luce eterna che trascendi ogni
luce creata! folgorami
dall'alto con un'illuminazione che penetri nell'intimo del mio
cuore. Purifica, rallegra, rischiara e vivifica il mio cuore.
Purifica, rallegra, rischiara e vivifica il mio spirito con
tutte le sue potenze, perché si unisca a te in gioiosi rapimenti.
Oh, quando verrà quel momento beato e desiderato, in cui mi
sazierai con la tua presenza e sarai per me tutto in tutto!
Finché non ci sarà dato questo, non ci sarà
gioia piena. Purtroppo vive ancora in me l'uomo vecchio, non
è tutto crocifisso e non è perfettamente
morto. I suoi desideri vanno ancora fortemente contro lo spirito,
solleva lotte interiori e non lascia che il regno dell'anima
resti tranquillo. Ma tu «che domini la potenza
del mare e plachi l'impeto dei suoi flutti» (Sal 89,10), levati su ed aiutami. «Disperdi
le genti che voglion la guerra»
(Sal 68,31) e sconfiggile col tuo valore. Mostra,
ti prego, la tua grandezza e sia
glorificata la tua destra; perché non c'è per me altra speranza
o rifugio se non in te, o Signore Dio mio. (Mistici del XIV secolo, Imitazione di Cristo, Libro III, cap. XXXIV, UTET,
Torino 1972, pp. 139-140)
[...] Se
poi amiamo l'anima nostra in quanto
è qualcosa di propriamente nostro, il Salvatore ci è più proprio dell'anima
stessa. Coloro che per tutta la vita mirano unicamente a questo,
sanno che il Salvatore è intimamente unito a ciascuno di loro
e che l'anima e l'essere è loro caro
e connaturale a causa di lui [Il tema del Cristo più intimo
a noi, che noi a noi stessi, ritorna frequentemente nella Vita in Christo].
Infatti chi cerca se stesso è inquieto, e
non può trovare la serenità se non incontra Dio. Inoltre, chi
giudica rettamente delle cose ‑ intendi: chi vive in Cristo ‑
sa che non si può privare Dio di ciò che a lui è dovuto, come avviene se amiamo Dio, che
è il bene perfetto, con un amore imperfetto; ma lo amiamo con
un amore imperfetto, se insieme a Dio amiamo qualche altra cosa,
dividendo l'amore. Infatti anche la legge dice:
Amerai Dio con tutta l'anima e
con tutta la mente. Dunque coloro che vivono
in Cristo offrono a Dio tutto il loro amore e lo stabiliscono
in lui, senza riserbarne alcuna parte né per gli altri, né per se
stessi. Con la volontà essi escono completamente da se stessi e da
tutti, poiché ciò che unisce in ogni caso è l'amore. Quindi,
volgendosi da ogni cosa a Dio solo, essi vivono solo per lui,
lui solo amano, di lui solo
godono; come desiderio, attaccamento e gioia per le cose nostre
più nostre non dipendono dal fatto che sono nostre, ma che le
amiamo. [...] Chi ama
se stesso gode al pensiero che i beni presenti sono suoi, ma
coloro che amano Dio solo fondano il loro
piacere sui beni di Dio, sono ricchi e si vantano delle sue ricchezze,
si gloriano della sua gloria, trionfano e si esaltano nel vederlo
adorato e magnificato. Coloro che vivono per se stessi, anche se godono di beni veri,
non possono cogliere una letizia pura, perché mentre godono
dei beni presenti soffrono ovviamente per quelli assenti o per
la presenza di mali. Invece chi ha trasferito in Dio la sua
vita, gode di una gioia integra e non c'è per
lui alcuna tristezza, perché molti sono i motivi della sua gioia
e non c'è nulla che lo possa contristare. (Nicolas
Cabasilas, La vita in
Cristo, UTET, Torino 1971, pp. 382-383)
L'amore
di Dio è uno slancio dell'anima che nella sua essenza si protende
verso Dio per unirsi alla sua altissima luce. [...] [L'anima]
si ritira dal mondo, rinuncia ai suoi piaceri, disprezza il corpo
e tutte le sue concupiscenze; i suoi occhi si aprono, il suo
sguardo s'illumina, e si dissipa la nube di follia che la separava
da Dio e dalla sua Torà. Essa distingue la verità dall'errore.
Il vero volto del suo Creatore, del suo
Signore si rivela, e quando essa comprende la sua potenza e
la sua grandezza, piega le ginocchia e si prosterna nel timore,
nel tremore, nel terrore dell'Altissimo e conserva tale atteggiamento
finché Dio la calma e fa tacere il suo terrore e il suo timore. Essa si
disseta allora alla coppa dell'Amore sacro. Si isola
in Dio per unire il suo cuore e fargli offerta d'amore; si abbandona,
desidera... Non ha altra cura se non quella di sottomettersi
a lui. Nessuna immagine attraversa la sua mente se non quella di Dio;
nessuno, fuorché lui, occupa il suo pensiero. Malata d'amore ed
ebbra di desiderio, non accenna un gesto che non l'unisca alla sua volontà, non autorizza
la lingua che per commemorarlo, lodarlo, cantarlo e glorificarlo.
Se egli l'esaudisce, rende grazie;
se la prostra, essa pazienta e sente ancor più grande amore,
più grande abbandono. Un santo
si alzava durante la notte e diceva: Mio Dio, tu mi hai affamato,
nudo mi hai lasciato nelle tenebre
della notte abbandonato. Ma per la tua gloria
sovrana, anche se tu mi consumassi nelle fiamme e nel fuoco,
in me non crescerebbe che il mio amore per te e la mia gioia
nel tuo seno. Così Giobbe
diceva: Anche se mi uccidesse spererei
ancora in lui (Gb 13,15). Il sapiente scrittore del Cantico
dei Cantici allude a questo dono assoluto: Il mio diletto
è per me un sacchetto di mirra che dorme fra i miei seni (Ct 1,13). E i nostri maestri commentano: Sia di mirra
o di amarezza, il mio diletto è mio
e dorme fra i miei seni (Talmud Shabbat 88b. Giuoco
di parole intraducibile imperniato su mirra
e amarezza). Il profeta
esprime così questa offerta di sé: Amerai il
Signore tuo Dio con tutto il cuore, con tutta l'anima e con tutte
le forze (Dt 6,5). (Bahya Ibn
Paquda, I doveri del cuore,
Paoline, Cinisello Balsamo 1988, pp. 464-465)
È scritto:
«Che egli mi baci con i baci della sua bocca»
(Ct 1,2). Perché mai re Salomone ha voluto introdurre
espressioni di amore tra il mondo
superiore e quello inferiore, e ha usato, iniziando la lode all'amore
tra di loro, il termine: «Che egli mi baci»?
Invero si è già spiegato, e
così è in realtà, che non esiste amore tra due spiriti che aderiscono
l'uno all'altro, se non nel bacio. Ed
il bacio si dà con la bocca, che è la sorgente dello spirito ed il
luogo da cui esso esce. Quando si
baciano l'uno con l'altro, gli spiriti aderiscono questi a quelli
e divengono una sola cosa. Allora l'amore è uno (L'unio mystica tra l'uomo e Dio è qui arditamente simboleggiata nel
bacio). Nel Siphrà
de‑Rab Hamnunà, un saggio vegliardo diceva a proposito
di questo verso: Il bacio d'amore si diffonde ai quattro venti
e i quattro venti si uniscono insieme e si trovano nel mistero
della divinità. Poi si innalzano, emergendo in
quattro lettere, che sono quelle da cui dipende il santo nome
ed inoltre i mondi superiori e quelli inferiori, ed infine
la lode che è nel Cantico dei Cantici. E quali sono queste lettere? AHBH
(«amore») (AHBH, le quattro lettere che compongono la parola
"amore", in ebraico ahabah,
sono messe in corrispondenza con le lettere del tetragramma ineffabile di Dio, JHWH).
Esse costituiscono il carro eccelso e sono l'unione, l'adesione
e la perfezione di tutto. Queste lettere sono i quattro venti
e costituiscono gli spiriti dell'amore e della gioia, cui aderiscono tutte le membra del corpo,
senza avere affatto mestizia. I quattro spiriti sono nel bacio, ed
ognuno di essi è compreso nell'altro. Quando poi uno spirito è compreso nell'altro e l'altro nel
primo, divengono infine due spiriti che poi si uniscono.
Allora i quattro spiriti sono uniti insieme in una perfetta
adesione; scaturiscono l'uno dall'altro e sono compresi l'uno
nell'altro. Quando essi si diffondono, vengono a formare di
quattro spiriti un unico frutto, cioè
un solo spirito che è formato dai quattro spiriti. Questo si innalza, aprendosi un varco attraverso
i firmamenti, finché, risalendo, si colloca presso un palazzo
che è chiamato palazzo dell'amore. Da questo luogo dipende ogni
amore ed anche quello stesso spirito è chiamato così: amore.
E quando lo spirito risale, sollecita quel palazzo
ad aderire all'alto. (Il Libro dello spledore, a cura
di Elio e Ariel Toaff,
Edizioni Studio Tesi, Pordenone 1988, II-146a-146b, pp. 21-22)
Si racconta
che Räbi'a al-'Adawiyya ‑ che Dio, esaltato egli
sia, l'abbia in misericordia ‑ quando faceva la preghiera della
sera, stava in piedi sulla sua terrazza e si stringeva addosso
la tunica e il velo; poi diceva: «Mio Dio, le stelle splendono, gli
occhi dormono, i re chiudono le loro porte e ogni amato resta solo con il proprio amato:
così, io sto davanti a te». Poi attendeva alla sua preghiera.
Al momento dell'aurora, quando sorgeva l'alba, diceva: «Mio Dio, la notte se n'è andata e il giorno
splende. Oh, se io sapessi
che tu hai accettato la mia notte, sarei nella gioia; se invece sapessi
che tu l'hai rifiutata, mi rassegnerei. Per la potenza
tua, continuamente mi accade che tu mi vivifichi e mi aiuti.
Per la potenza tua, se tu mi allontanassi dalla tua porta, io
non me ne allontanerei, perché
nel mio cuore c'è amore per te». Poi cantò: «0 mia gioia, mio desiderio, mio
appoggio, amico mio, mio sostegno
e fine a cui aspiro! Tu sei lo spirito del cuore, tu
sei la mia speranza, tu sei per me un amico,
e il tuo amore è il mio viatico. Senza
di te, mia vita e mia letizia, non
mi sarei avventurata nella vastità del paese. Manifesto
è il tuo favore divino, e
quanti doni, quante grazie e aiuti tu hai per me! Ora,
il tuo amore è mio desiderio, mio luogo di delizia, e
splendore degli occhi del mio cuore riarso. Non
c'è per me ‑ lontano da te non ho potuto vivere ‑ luogo
spazioso. Ti
ho lasciato prendere possesso nel fondo del mio cuore. Se
ti compiaci in me, anch'io di te mi compiaccio, o
desiderio del cuore! Manifesto è il tuo aiuto». Disse Sa'd b. 'Uthmán: Ero, insieme
con Dhü‑l‑Nün
al‑Misri - che Dio l'abbia in misericordia
‑ nella terra di perdizione dei figli di Israele, ed ecco che
venne una persona. Dissi: «Maestro, c'è qualcuno!». Disse:
«Guarda chi è. Solo un santo può porre il piede in questo luogo».
Guardai: era una donna. Dissi: «È una donna santa, per il Signore
della Ka'ba!».
Corse allora verso di lei e la salutò. Ella
disse: «Non è degli uomini
conversare con le donne!». Egli disse: «Io sono tuo fratello,
Dhü‑l‑Nün; non mi merito
il tuo sospetto». Disse: «Benvenuto, Dio ti faccia vivere nella
pace!». Egli disse: «Che cosa ti ha spinto a entrare in questo luogo?». Disse: «Un
versetto del libro di Dio - grande egli è e glorioso ‑, la sua
parola ‑ esaltato egli sia: "... forse che la terra di Dio non
era spaziosa per emigrarvi?"». Le disse: «Descrivimi l'amore!». Ella
disse: «Gloria a Dio! Tu lo conosci e parli con lingua di conoscenza
e lo domandi a me?». Le disse: «A chi chiede bisogna rispondere».
Allora ella cantò, dicendo: «0 amato
del cuore, non ho che te; abbi, oggi, pietà di un peccatore che
viene a te. 0 mia speranza, mio riposo, mia gioia, il cuore non vuole amare altri che
te. Il mio riposo,
o fratelli, è nella mia solitudine; il mio amato è sempre
alla mia presenza. Non c'è, per me, corrispettivo al
desiderio di lui, e il desiderio di lui
nelle creature è la mia prova. Quando contemplavo la sua bontà Egli
era il mio mihräb (nicchia) e la mia
qibla (direzione). Se
io morissi non trovando compiacimento, oh, la mia pena nel mondo e la mia
sventura! 0 medico
dell'anima, o ogni dono, donami un'unione che guarisca la mia anima. 0 mia gioia, o mia vita per sempre! Da te la
mia origine, da te la mia ebbrezza. Ho abbandonato
il creato interamente, sperando che tu mi unisca a te. Non posso desiderare
di più». (I detti
di Rabi'a, Adelphi,
Milano 1979, pp. 71-74) «O Dio! Se io t'adoro
per paura dell'inferno, bruciami nell'inferno; e se t'adoro per speranza del paradiso,
escludimi dal paradiso; ma se t'adoro per amor tuo soltanto
non ritirare da me la tua eterna beltà!» (R.A.Nicholson,
I mistici dell'Islam. Il sufismo, Fratelli Bocca, Torino 1925,
p. 112). LA STORIA DELL'ANIMA CHE CERCA DIO Cercai un'anima nel mare, E vi trovai un corallo; Sotto la schiuma, per me, Un intero oceano giaceva nudo. Nella notte del mio cuore Per una stretta strada Brancolai; ed ecco! La luce, Una terra di giorno infinita. (A.J.Arberry, Introduzione
alla mistica dell'Islam, Marietti,
Genova 1986, p. 92) AUTOBIOGRAFIA
SPIRITUALE Ascolta il flauto di canna, com'esso
narra la sua separazione: Da quando mi strapparono al canneto ha fatto piangere uomini
e donne il mio dolce suono. Un cuore
io voglio, un cuore dilaniato dal distacco dell'amico, che possa spiegargli la passione
del desiderio d'amore. Ché chiunque rimanga lontano
dalla origine sua, sempre ricerca il tempo in cui
vi era unito. (Rumi,
Poesie mistiche, a cura di A.Bausani, Milano 1980, p. 27)
La richezza non mi interessa, la miseria non mi inquieta, solo il tuo amore mi appassiona, io, è di te che ho bisogno. Il tuo amore
uccide gli amanti, li immerge nel mare Amore e li colma della sua manifestazione io, è di te che ho bisogno. Berrò il
vino del tuo amore diverrò majnun (pazzo di Dio) e fuggirò nel deserto; giorno e notte sei tu la mia
preoccupazione io, è di te che ho bisogno. Se anche
venissi ucciso, se si gettassero al vento le mie ceneri, fa mia polvere continuerebbe a gridare: io, è di te che ho bisogno. (Testo
ripreso da internet) |