IL DIAVOLO E L'OCCIDENTE

Convegno organizzato da BIBLIA - Associazione laica di cultura biblica, in collaborazione con le ACLI della Provincia di Bologna. Patrocinio e sostegno della Regione Emilia Romagna, della Provincia e del Comune di Bologna. Partecipazione della Fondazione Cassa di Risparmio di Bologna. Inserito nel progetto del Ministero per i Beni e le Attività Culturali: "V Settimana della Cultura - La Cultura è uno spazio aperto".
Oratorio dei Filippini, Via Manzoni 5
Bologna, 9-11 Maggio 2003


Ermenegildo Manicardi

10 Maggio 2003

IL DIAVOLO NEL NUOVO TESTAMENTO

Possiamo partire da alcune domande solo all'apparenza drastiche e strane. C'è davvero «il diavolo» nel NT? Qual è la consistenza del «demonio» nel NT? Esiste una possibilità concreta e seria di trattare il tema «il diavolo nel Nuovo Testamento»?[1]

1. L'insufficienza costitutiva della «demonologia» del NT

Il dato da cui sembra necessario partire è quello di un'insufficienza costitutiva della «demonologia» del NT.

1.1. Una mancanza di riflessione sistematica sul demonio

Del «demonio», di fatto, parlano tutti gli strati o addirittura tutti i libri del NT. Nel NT, però, non c'è una «demonologia» riflettuta in maniera sistematica ed espressa compiutamente. Nel NT possiamo identificare una «teo-logia», una «cristo-logia», un'«antropo-logia», ma non una «demono-logia», che sia equivalente e corrispondente alle discipline appena indicate.

Il NT parla del demonio non per spiegare chi è il diavolo, ma per far comprendere chi è Gesù e qual è il dono che lui ha fatto all'umanità o, se si preferisce, che Dio ha fatto in lui all'umanità. E' evidente che da quest'impostazione è attribuita al demonio una certa "consistenza", anche se derivata. Al tempo stesso, però, è chiara l'impossibilità di individuare una «demonologia» che sia specifica degli scritti protocristiani. Di fatto si tratta di una specie di cornice necessaria.

Gli scritti, unificati dalla fede nel Canone del NT, hanno come base comune la convinzione che la salvezza dell'uomo è stata operata da Dio in Gesù Cristo. Dal punto di vista culturale, invece, non sono opere completamente omogenee: nell'orientamento di una fede comune, essi presentano – soprattutto in alcuni casi – accentuazioni molto diverse.

Una molteplicità di toni si realizza anche nel modo di pensare e rappresentare il demonio. I diversi autori si servono della loro precedente "cultura" in proposito, per esempio possono essere più o meno "apocalittici"; di conseguenza sono anche più o meno articolati nel riferirsi ai demoni. Sarebbe erroneo immaginare che esista una tradizione cristiana veramente specifica, caratterizzata da una serie d'affermazioni lineari sul demonio ed emergente dai diversi ambienti delle Chiese primitive. Il diavolo nella sua influenza a livello sia fisico,[2] sia psichico, sia spirituale è dato per scontato. Se ne parla come di una realtà ovvia, ma con esclusiva attenzione al dato della liberazione operata da Gesù, senza soffermarsi nella descrizione dello sfondo negativo superato dalla salvezza. E' interessante osservare che, come non c'è difficoltà ad immaginare un'infermità come proveniente da un influsso demoniaco, lo stesso avviene per la malattia. Troviamo perciò delle situazioni che ci possono sembrare antitetiche. Luca presenta «una donna che aveva da diciotto anni uno spirito che la teneva inferma; era curva e non poteva drizzarsi in nessun modo» (Lc 13,11) e, nel corso del racconto, Gesù stesso la definisce «questa figlia d'Abramo, che satana ha tenuto legata per diciotto anni» (Lc 13,16). In Giovanni, invece, la situazione del cieco nato è letta da Gesù in tutt'altro modo: «Passando vide un uomo cieco dalla nascita e i suoi discepoli lo interrogarono: "Rabbì, chi ha peccato, lui o i suoi genitori, perché egli nascesse cieco?". Rispose Gesù: "Né lui ha peccato né i suoi genitori, ma è così perché si manifestassero in lui le opere di Dio"» (Gv 9,1-3).

La diversità, che si constata tra questi testi, mostra chiaramente che sarebbe sbagliato attribuire al NT una visione sistematica a proposito delle funzioni e delle attribuzioni del demonio.

1.2. Nella scia della demonologia giudaica

I libri del NT danno per scontata l'esistenza di demoni. Ne parlano senza preoccuparsi di descrivere o motivare il quadro presupposto. In concreto essi si limitano ad inserire le azioni di Gesù, a favore di certi interlocutori, nella rappresentazione della demonologia del giudaismo antico. «Per quanto riguarda il modo di concepire i demoni, tutti gli strati del NT sono tra loro concordi; essi adottano le strutture della demonologia del giudaismo antico. A Dio e ai suoi angeli si contrappone una schiera numerosa di demoni che sottostanno al diavolo (ho diábolos), organizzati in modo per così dire militare. Fra di essi sono annoverati sia gli agenti patogeni (Sinottici, Atti, Paolo) sia gli dei pagani (Paolo, Apocalisse) o gli spiriti che dimorano tra le rovine (Apocalisse)» (O. Böcher).[3]

«Con i suoi enunciati su satanâs o diábolos quale principe dei demoni il NT rimane nel contesto del dualismo veterogiudaico; al pari di esso spera nella rovina escatologica dell'antagonista. Gesù però è comparso per distruggere le opere del diavolo (1Gv 3,8c); la sua vittoria sui demoni significa la fine del regno di satana e l'inizio del regno di Dio (Mt 12,28 parallelo a Lc 11,20)» (O. Böcher).[4]

1.3. Semplificazione della demonologia giudaica

Probabilmente si deve aggiungere che la ripresa neotestamentaria avviene con una notevole semplificazione del quadro demonologico giudaico. Ciò può essere constatato, in maniera non complessa, già a livello di terminologia "demoniaca" nel NT.

La terminologia usata nel NT per parlare dei demoni è piuttosto semplice.

* «demonio» (cfr. Mc 1,34: si tratta del termine più usato: ben 63 volte),

* «demone» (un termine molto usato in greco; nel NT invece solo in Mt 8,31),

* «spiriti impuri» (Mc 3,11), «spiriti cattivi» (Mt 12,45), «spiriti ingannatori» (1Tm 4,1),

* «spirito di debolezza» (Lc 13,11), «spirito muto», «spirito sordo e muto».

Alcuni di questi termini sono in relazione con una rappresentazione dei demoni connessa alla loro natura angelica. Si parla con chiarezza de «gli angeli che avevano peccato» (2Pt 2,4), o anche semplicemente di «angeli», come si vede nell'affermazione di S. Paolo «Non sapete che giudicheremo gli angeli?» (1Cor 6,3), che evidentemente ha senso solo se rapportata agli angeli/demoni. A questo tipo di terminologia "angelica" vanno collegate anche le espressioni «potenze», «principati», «potestà», ecc.

I nomi propri o individuali sono piuttosto rari. Incontriamo alcuni vocaboli di origine ebraica o semitica in senso più lato, usati anche come nomi individuali:

* «Satana» che significa avversario, nemico o accusatore (cfr. Mc 3,23),

* «Beelzebul» ossia Signore delle mosche (cfr. Mc 3,22),

* «Belial» o «Beliar» una combinazione che può significare Non-utilità (cfr. 2Cor 6,15),[5]

* «Mammona» che significa Ricchezza personificata negativamente (cfr. Mt 6,24).[6]

Un'altra serie d'espressioni indica chiaramente il diavolo, più precisamente, il capo dei demoni come «il principe dei demoni» (cfr. Mc 3,22), «il principe di questo mondo» (Gv 12,31; 14,30; 16,11), «il dio del presente secolo» (2Cor 4,4), «il principe della potenza dell'aria» (Ef 2,2), «il dragone grande» (Ap 12,9), «il serpente antico» (Ap 12,9), «l'ingannatore di tutta la terra abitata» (Ap 12,9).

Le liste ora elencate possono dare l'impressione di una robusta consistenza del quadro. In realtà, se si soppesano i dati con calma, si trova quasi l'opposto. La varietà della terminologia, la sua semplicità e l'essenzialità di nomi propri mostrano che non si procede con un linguaggio tecnico, ma semplicemente che ci si serve di un quadro senza sentire il bisogno di determinarlo più concretamente. Una tale impressione è inevitabile se si fa un confronto con l'esuberanza dell'apocalittica giudaica. Certo le opere cristiane "apocalittiche" sono più ricche d'immagini, di descrizioni dettagliate e di linguaggio demonologico quasi tecnico, ma anche in questo caso si nota una sobrietà descrittiva maggiore rispetto al giudaismo. Si pensi in particolare all'Apocalisse di Giovanni: certo molto più ricca nella descrizione del demoniaco di altri livelli del NT, ma in ogni caso assolutamente essenziale sia nella terminologia che nelle affermazioni. Quale esempio, basti prendere la descrizione dell'«enorme drago rosso» (Ap 12,1-4a) e confrontarla con le altre figure dell'Apocalisse: il confronto permette di rilevare che, anche nel caso del demoniaco, non si scatena una particolare cupidigia descrittiva. Per non diffonderci troppo, ci limitiamo ad osservare che non c'è un interesse maggiore a descrivere e a qualificare il dragone rispetto quanto non accada per la donna.[7] Tutto è perfettamente corrispondente. Per la donna si descrive il vestito, tessuto in concreto della luce del sole (v. 1a), mentre per il drago si mostra semplicemente la pelle di colore rosso fuoco, che tradisce la violenza di questa figura (v. 3a).[8] Un secondo elemento descritto per entrambi è la testa: la donna ha una corona di dodici stelle (v. 1c), mentre il drago porta, sulle sette teste con dieci corna, sette diademi (v. 3b). Infine la descrizione s'interessa dei piedi. La donna calpesta la luna (v. 1b); il dragone, invece, essendo «il serpente antico» (cfr. v. 9) condannato a strisciare (cfr. Gen 3,14), non ha «piedi», ma opera con la «coda» capace di trascinare giù dal cielo un terzo delle stelle (v. 4a).[9] Da questo perfetto equilibrio, nella descrizione di tutte le figure implicate, si può vedere che non c'è un interesse particolarmente acceso nella presentazione dell'elemento demoniaco.

1.4. E la demonologia greca o greco ellenistica?

Dalla rappresentazione del demonio nel NT è abbastanza lontana la demonologia greca: anche su questo punto conviene ricordare bene che il greco del NT è per gran parte la lingua della versione detta della LXX. Si tratta di un lessico fatto di parole già greche, ma formatosi come traduzione dall'ebraico biblico.

Sul NT può incidere la concezione greca popolare di demoni capaci di recare danni di ogni genere. A questo proposito scriveva W. Foerster: «Spesso a tutta prima non ci si rende conto della ragione di una cosa, ma la si conosce poi, quando si giunge alla conclusione che è in gioco un qualche demonio».[10]

Completamente estranea al NT è, invece, l'idea che i demoni possano anche essere «spiriti dei defunti». Non è testimoniata nemmeno l'idea che i demoni sono spettri che compaiono. Ci sono alcuni passi lucani interessanti a questo proposito. Dello «spirito di un morto» si parla nel momento della risurrezione terrena della figlia di Giairo: al comando di Gesù «fanciulla, alzati!», subito «il suo spirito ritornò in lei ed ella si alzò all’istante. Egli ordinò di darle da mangiare» (Lc 8,55). Si vede però che non vi è nessuna relazione con l'idea di un demonio. Per quanto riguarda gli spettri è Gesù risorto che, la sera di pasqua, corre il rischio di essere scambiato per «uno spirito» (cfr. Lc 24,37).[11] I discepoli hanno timore, ma non si tratta di paura del demoniaco, bensì della difficoltà di avere una concezione giusta della risurrezione come di una realtà che comporta effetti reali anche sul corpo, e non solo nello «spirito».

1.5. Impossibilità di un paziente collage

Questa prima tappa della nostra ricerca deve chiudere con un'affermazione d'improduttività. Non è possibile pensare di poter raccogliere i differenti aspetti descrittivi del demoniaco neotestamentario con la speranza di giungere ad un collage decoroso, capace di fornire un identikit del demonio. Non solo non c'è speranza di trovare un numero sufficiente di elementi per schizzare una rappresentazione completa, ma come utilizzare in una composizione unitaria elementi di opere così diverse, come sono quelle che compongono il NT?

2. La questione centrale su «il demonio nel NT»: Gesù esorcista e redentore

La questione della demonologia del NT non è posta dalla terminologia o dalle rappresentazioni del «demoniaco», adottate dagli Autori dei vari scritti, ma dalla necessità di capire Gesù di Nazaret e la sua vicenda. Non si può arrivare ad interpretare Gesù di Nazaret senza fare i conti con due aspetti della sua persona. Il primo aspetto importante è quello della innegabile attività esorcistica di Gesù. L'altro, non meno decisivo, è quello della lotta personale contro Satana, ingaggiata già nelle tentazioni previe al suo ministero e terminata vittoriosamente sulla croce. Gesù è considerato in tutto in NT il redentore dell'uomo, il liberatore, il salvatore. Questo non solo in quanto opera alcune situazioni di liberazione – come gli esorcismi, le guarigioni, il perdono delle colpe – ma perché spezza una necessità superiore, che stringe e costringe ogni uomo portandolo verso il peccato e la rovina. La sua opera di salvatore è costituita proprio dalla capacità di spezzare questa necessità.

3. L'attività esorcistica di Gesù

3.1. Un dato storiografico certo

Non pare si possa dubitare del fatto che Gesù di Nazaret si sia presentato, sulla scena storica, anche quale esorcista. Il fatto è incontrovertibile, se si guarda la documentazione su di lui; a tutti i livelli, i materiali storiografici su di lui ne sono toccati: i Vangeli a partire da Marco (anche se con l'eccezione parziale di Giovanni), la fonte «Q» utilizzata sia da Matteo sia da Luca, il Testimonium flavianum contenuto nelle Antichità Giudaiche di Flavio Giuseppe. «Se la signoria di Dio costituisce il centro della predicazione di Gesù, le guarigioni e gli esorcismi formano il fulcro della sua attività» (G. Theissen). Il profeta di Nazaret ha impressionato e sconcertato i contemporanei soprattutto con i prodigi e gli esorcismi, anche se «negli studiosi storico-critici moderni prevale invece l'irritazione» davanti all'attività taumaturgica ed esorcistica di Gesù.[12]

Ci sono stati periodi storici in cui quest'attività di Gesù, insieme con quella di taumaturgo, è stata trascurata dagli esegeti. Per esempio si è pensato che i racconti di guarigione e di prodigi non appartengano allo strato storico originale, ma siano nati solo in un secondo momento dalla propaganda missionaria cristiana nel mondo ellenistico, preoccupata di presentare un salvatore più debole degli operatori di prodigi conosciuti nell'ellenismo. Era questo l'orientamento per es. di R. Bultmann. Oggi la prospettiva storiografica è diversa. La «terza ricerca»[13] del Gesù storico non ha difficoltà a collocare bene l'attività esorcistica di Gesù nell'ambito del giudaismo coevo, con la sua demonologia. Forse merita accennare agli elementi considerati validi per una storiografia seria.

3.2. Gli esorcismi identificabili nei Vangeli

Almeno sette esorcismi di Gesù, raccontati nei Vangeli, possono resistere alla prova storica.[14]

1) L'indemoniato nella sinagoga di Cafarnao (Mc 1,23-28 + Lc).

2) L'indemoniato incontrato al di là del Mare di Galilea (Mc 5,1-20 + Mt + Lc).

3) La figlia della donna sirofenicia esorcizzata a distanza (Mc 7,24-30 + Mt).

4) Il ragazzo posseduto (epilettico), non guarito dai discepoli (Mc 9,14-29 + Mt + Lc).

5) L'indemoniato muto [e cieco?] (Mt 12,22-23a parallelo a Lc 11,14).

6) L'indemoniato muto (Mt 9,32-33).

7) Maria Maddalena (Lc 8,2).

3.3. Parole di Gesù che toccano gli esorcismi

La consistenza storiografica dell'attività esorcistica di Gesù è confermata da alcune delle sue parole trasmesse nei vangeli. Che il potere esorcistico non sia un aspetto secondario è mostrato dal fatto che si parla del potere esorcistico di Gesù entro parole di Gesù stesso che toccano il cuore del suo messaggio.[15] Ciò accade in particolare in «Q», che è la più antica delle correnti di tradizioni sulle parole di Gesù. I detti in questione sono i quattro che compaiono in Lc 11,18-22.[16]

1) Il detto sul regno diviso in se stesso: «Ora, se anche satana è diviso in se stesso, come potrà stare in piedi il suo regno? Voi dite che io scaccio i demoni in nome di Beelzebùl» (Lc 11,17-18).

2) La domanda sugli esorcismi fatta ai discepoli degli scribi: «Ma se io scaccio i demoni in nome di Beelzebùl, i vostri discepoli in nome di chi li scacciano?» (Lc 11,19).

3) Il detto sull'esorcismo compiuto con il dito di Dio: «Se invece io scaccio i demoni con il dito di Dio, è dunque giunto a voi il regno di Dio» (Lc 11,20).

4) La parabola dell'uomo forte: «Quando un uomo forte, bene armato, fa la guardia al suo palazzo, tutti i suoi beni stanno al sicuro. Ma se arriva uno più forte di lui e lo vince, gli strappa via l’armatura nella quale confidava e ne distribuisce il bottino» (Lc 11,21-22).

3.4. Un'idea della demonologia presupposta da Gesù

Forse un passo capace di darci la demonologia presupposta da Gesù può essere il compendio di Mt 12,43-45 parallelo a Lc 11,24-26 («Q»). «Per guarire il malato, l'esorcista espelle «lo spirito impuro», il quale si cerca una nuova dimora in un luogo disabitato (tra rovine o nel deserto). Alla prima occasione il demonio ritorna e prende nuovamente possesso dell'uomo che ha rinunziato a misure di protezione apotropaiche (lustrazioni, ascesi)» (O. Böcher).[17] La tradizione ebraica, infatti, conosce «per nome» due demoni: Lilit, il personaggio femminile che abita tra le rovine (Is 34,14), e Azazel, che dimora nel deserto e al quale nel giorno solenne di Kippur veniva offerto un capro caricato dei peccati del popolo (Lv 16).[18]

4. Gesù il redentore

Il dono della redenzione di Gesù tocca proprio la vittoria, da lui ottenuta sul male che costringe noi. Tale vittoria è ottenuta con uno scontro personale con Satana stesso, che tocca il ministro di Gesù in punti essenziali.

4.1. Il preludio al ministero di Gesù: lo scontro con Satana

I vangeli, almeno i tre sinottici, non iniziano la narrazione del ministero di Gesù senza aver mostrato prima le tentazioni che Gesù subisce da Satana, vincendolo. Abbiamo gli articolati racconti di Mt 3,1-11 e Lc 3,1-12, provenienti da «Q», ma abbiamo anche l'enigmatica notizia di Mc: «Subito dopo lo Spirito lo sospinse nel deserto e vi rimase quaranta giorni, tentato da satana; stava con le fiere e gli angeli lo servivano» (Mc 1,12-13).

L'importanza estrema di questo passo è che le tentazioni non sono rappresentate come un'iniziativa dovuta al dinamismo di Satana stesso, ma tutto ha inizio dallo Spirito che Gesù ha ricevuto nel battesimo. E' lo Spirito che lo conduce nel deserto proprio perché sia tentato. L'essere «il Figlio amato» da Dio (cfr. Mc 1,11), l'aver ricevuto in sé (cfr. Mc 1,10) o su di sé (cfr. Mt 3,16) lo Spirito Santo, l'aver scelto di mettersi tra quanti hanno intrapreso la via della conversione confessando il peccato del popolo (cfr. Mc 1,9 in connessione con il v. 5b),[19] non possono significare un essere sottratto personalmente allo scontro con il demonio.

4.2. Il ritorno del diavolo nella passione

Gesù non è tentato solo agli inizi del ministero, ma anche nelle ore in cui pende sulla croce. C'è una corrispondenza evidente e non casuale tra le parole, con le quali Gesù è messo alla prova da Satana, nel deserto e quelle che gli sono rivolte mentre la morte si avvicina.

Satana nel deserto: «Dopo aver digiunato quaranta gironi e quaranta notti, (Gesù) ebbe fame. Il tentatore allora gli si accostò e gli disse: "Se sei Figlio di Dio, di’ che questi sassi diventino pane"» (Mt 4,3). «Allora il diavolo lo condusse con sé nella città santa, lo depose sul pinnacolo del tempio e gli disse: "Se sei Figlio di Dio, gettati giù …"» (4,5-6).

Sotto la croce: «E quelli che passavano di là lo insultavano scuotendo il capo e dicendo: "Tu che distruggi il tempio e lo ricostruisci in tre giorni, salva te stesso! Se tu sei Figlio di Dio, scendi dalla croce!". Anche i sommi sacerdoti con gli scribi e gli anziani lo schernivano: "Ha salvato gli altri, non può salvare se stesso. É il re d'Israele, scenda ora dalla croce e gli crederemo. Ha confidato in Dio; lo liberi lui ora, se gli vuol bene. Ha detto infatti: Sono Figlio di Dio!"» (Mt 27,39-43).

Letti insieme, i testi della tentazione nel deserto e quelli della crocifissione fanno vedere che Satana non si esprime solo, per così dire, personalmente e neppure solo attraverso gli indemoniati, ma – ahinoi – c'è molto di più. Chiunque può "prestare" la propria voce al demonio diventando, di fatto, il «diavolo» tentatore d'altri uomini.

Due evangelisti, Luca e Giovanni, si spingono ancora oltre. Nell'introduzione alla passione essi presentano la venuta di Satana, che metterà alla prova Gesù attraverso il tradimento di Giuda. Per Lc si tratta di un ritorno. L'evangelista aveva dato un rimando dopo la scena della tentazione nel deserto: «Dopo aver esaurito ogni specie di tentazione, il diavolo si allontanò da lui per ritornare al tempo fissato» (Lc 4,13). All'inizio della passione Luca incalza: «Entrò poi satana in Giuda chiamato Iscariota, che era del numero dei Dodici e andato parlò con i sommi sacerdoti e le guardie per consegnarlo» (Lc 22,3-4). Gv, che non si era interessato alle tentazioni all'inizio del ministero, è ancora più drammatico. Dopo aver mostrato che Gesù dà a Giuda un pezzo d'azzima intinto, per permettere al discepolo amato di vedere chi sarà il traditore, egli dichiara «e dopo il boccone, allora Satana entrò in lui» (Gv 13,27).

4.3. Alcune dichiarazioni di Gesù su Satana

Nel corso del ministero alcune dichiarazioni di Gesù ricordano la presenza di «satana», il tentatore e accusatore degli uomini, e mostrano una sua preoccupazione decisiva. Ciò appare, per esempio, quando Gesù definisce «satana» Pietro, che non riesce ad accettare l'insegnamento sul disegno divino di passione, morte, risurrezione del «Figlio dell'uomo». Usando l'appellativo «satana/tentatore», Gesù mostra il rischio e la paura che le parole del suo discepolo diventino per lui una tentazione insuperabile: «torna dietro a me, satana» (Mc 8,33). Al ritorno dei settantadue discepoli, che ha inviato in missione, Gesù evidenzia il successo dichiarando: «Vedevo satana cadere dal cielo come la folgore» (Lc 10,18).

4.4. Ambivalenza tra il male e il Maligno in alcuni insegnamenti di Gesù

Le parole, che chiudono l'ultima invocazione del Padre nostro, portano un riferimento al male che va appunto in questa direzione. Le parole greche apò toû poneroû possono essere intese al neutro – «liberaci da ciò che è male» – oppure al maschile, «liberaci da colui che è Maligno». Nello stesso senso e per l'identico possibile scambio tra neutro e maschile, questa volta con il dativo tô ponerô, anche la difficile richiesta «non resistere al male/malvagio/Maligno» (cfr. Mt 5,39) può alludere alla presenza del Maligno nel male che ci colpisce attraverso la cattiveria degli oppositori.

5. Gesù e il diavolo nel Vangelo secondo Marco

I vangeli hanno una diversa sensibilità nella presentazione degli esorcismi di Gesù e qualche sfumatura nel riferimento al diavolo. Proviamo a tracciare qualche linea, cominciando con il Vangelo secondo Marco.

5.1. I racconti marciani d'esorcismo e la loro posizione strategica

Marco è l'evangelista più attento agli esorcismi di Gesù. I racconti di casi individuali sono quattro, collocati tutti in posizione strategica. Per i primi tre di questi testi, si tratta di un avvenimento che inaugura l'arrivo e l'attività di Gesù in una certa zona. Negli inizi in Galilea assistiamo all'esorcismo nella sinagoga di Cafarnao il primo sabato della sua venuta (1,23-27). Appena Gesù, attraversato il Mare di Galilea, si trova per la prima volta in un territorio semipagano come la Decapoli, libera l'indemoniato posseduto dalla «legione» (5,1-20). Nella zona di Tiro e di Sidone, durante il misterioso viaggio di Gesù in territorio completamente pagano, si svolge l'esorcismo a distanza della bambina della donna sirofenicia (7,24-30).

Il quarto episodio si trova al centro della narrazione e mette a confronto il potere esorcistico di Gesù e quello della sua comunità. Si affronta qui un problema notevole, quello della reale trasmissione del potere esorcistico da Gesù ai suoi discepoli (cfr. 9,14-29). Meglio ancora: si tratta qui non della possibilità della trasmissione, ma delle condizioni in cui tale passaggio può esercitarsi: «Entrò poi in una casa e i discepoli gli chiesero in privato: "Perché noi non abbiamo potuto scacciarlo? ". Ed egli disse loro: "Questa specie di demoni non si può scacciare in alcun modo, se non con la preghiera"» (Mc 9,28-29).

5.2. La trasmissione del potere esorcistico di Gesù.

Il potere esorcistico segna l'eccezionalità dell'identità di Gesù, ma al tempo stesso non è considerato come qualche cosa che sia esclusivamente suo. Questo potere, infatti, contrassegna la dotazione dei Dodici inviati in missione (3,13-19). Essi hanno il doppio compito di «proclamare» il vangelo e di «cacciare i demoni». In forza della trasmissione ai Dodici, il potere esorcistico di Gesù passa, senz'ombra di dubbio, alla Chiesa. Per la questione «è presente davvero il diavolo nel NT» questo è un passo importante: non solo è esorcista Gesù, ma lo devono essere anche i suoi. La lotta al demonio appare un compito decisivo e irrinunciabile.

Ciò nonostante, all'interno del gruppo dei discepoli (non si precisa se si tratti anche dei Dodici) ci possono essere problemi a realizzare questo mandato (cfr. 9,14-29). Durante la trasfigurazione di Gesù, i discepoli ai piedi del monte fanno proprio quest'esperienza dolorosa. E' perciò evidente che nell'autorità di cacciare i demoni non vi è nulla di magico. Si tratta di una lotta che comporta una responsabilità a vantaggio degli altri.

L'insuccesso dei discepoli ai piedi del monte della trasfigurazione ha una specie di episodio antitetico. L'attività esorcistica riesce anche ad un non discepolo, ad un estraneo o, almeno, un esterno (9,38). Gesù non si oppone anzi blocca l'intervento ostile di Giovanni, uno dei Dodici.

Il fatto che Gesù veda positivamente un'azione esorcistica anche al di fuori della cerchia dei suoi discepoli dice una cosa importante. La lotta contro il demonio è un obiettivo così grande che coinvolge necessariamente sia i discepoli di Gesù, sia qualunque altro sia in grado di buttarsi in questo campo. La Chiesa custodisce la vittoria di Cristo sul male e sui demoni, ma nel campo della lotta al demoniaco non può desiderare né gradire di essere da sola.

5.3. Importanza del «tratto esorcistico» per la rappresentazione marciana di Gesù.

Il fatto che Gesù compia esorcismi esprime in maniera particolarmente chiara la consistenza dell'autorità della sua parola. La straordinaria exousía di Gesù, che lo eleva sopra gli scribi, non ne fa solo l'autentico interprete della Bibbia, pure riconosciuta autorevole, ma si manifesta come superiorità sul demonio, che è incapace di resistergli e di nascondersi davanti a lui.

Il succedersi inaugurante degli esorcismi, che avviene nelle diverse regioni in cui Gesù si sposta, fa capire che, dovunque, la sua persona non è compatibile col male. La sua presenza è liberatrice. In maniera complementare, l'impostazione narrativa di Mc presume che il demoniaco sia presente dovunque. Sorprende che già nella prima comparsa in una sinagoga della Galilea, Gesù smascheri la presenza del demonio. Forse non è un caso che Mt abbia ritenuto di "saltare" quest'episodio, che si presenta come uno dei pochi racconti di Mc che Mt non riprende. Lc lo sposta dopo la scena nella sinagoga di Nazaret.

6. Il vangelo secondo Matteo

Matteo non dà la stessa importanza di Mc agli esorcismi di Gesù, ma li assimila di più alle guarigioni dalle malattie. Al tempo stesso, però, è più esplicito per quanto riguarda la vittoria escatologica sul demonio: per es., presentando in un'allegoria il giudizio universale, parla del «fuoco eterno, preparato per il diavolo e per i suoi angeli» (Mt 25,41). E' evidente anche che Matteo tende a separare Gesù dalla categoria dei comuni esorcisti e ad attribuirgli una statura peculiare. Gesù risorto, infatti, dice di se stesso: «Ogni autorità mi è stata data in cielo e in terra» (28,18). Egli prevede anche come possibile il caso di esorcisti che, non avendo adempiuto la volontà di Dio, sono computati tra i dannati (cfr. Mt 7,22). Gesù non esorcizza più con «il dito» di Dio (Lc 11,20; cfr. Es 8,15). Scompare la pericope dell'esorcista straniero (cfr. Mc 9,38-41 parallelo a Lc 9,49-50), mentre si rassicura che le porte degli inferi non prevarranno mai contro la Chiesa (16,18). Le porte dell'Ade sono gli accessi del regno dei morti dove anche i demoni sono puniti. La forza degli inferi non riuscirà a bloccare la Chiesa.

In sostanza l'evangelista Matteo attenua la portata dell'azione esorcistica storica di Gesù di Nazaret, ma insiste sull'autorità del Risorto che ha vinto sui demoni e sulla morte. E' in questo senso che si può leggere anche la descrizione apocalittica che segue immediatamente la morte di Gesù nel racconto matteano. «E Gesù, emesso un alto grido, spirò. Ed ecco il velo del tempio si squarciò in due da cima a fondo, la terra si scosse, le rocce si spezzarono, i sepolcri si aprirono e molti corpi di santi morti risuscitarono. E uscendo dai sepolcri, dopo la sua risurrezione, entrarono nella città santa e apparvero a molti. Il centurione e quelli che con lui facevano la guardia a Gesù, sentito il terremoto e visto quel che succedeva, furono presi da grande timore e dicevano: "Davvero costui era Figlio di Dio!"» (Mt 27,50-54).

7. Il vangelo secondo Giovanni

Qualche parola anche sul Quarto Vangelo. A differenza dei tre Sinottici, Giovanni non è interessato a raccontare singole cacciate di demoni, operate da Gesù, né a presentare in maniera almeno sommaria la sua attività esorcistica. Egli, però, ripetutamente riporta l'accusa a Gesù di essere indemoniato (Gv 7,20; 8,48. 49. 52; 10,20). Va ricordato che negli altri vangeli quest'accusa è connessa con l'attività esorcistica di Gesù ed è, per così dire, da essa scatenata. Nella narrazione di Marco per es. si legge: «Ma gli scribi, che erano discesi da Gerusalemme, dicevano: "Costui è posseduto da Beelzebùl e scaccia i demoni per mezzo del principe dei demoni"» (Mc 3,22).

Giovanni, pur trascurando di dare attenzione al potere esorcistico di Gesù, parla più volte del «principe di questo mondo» (Gv 12,31; 14,30; 16,11). Una tale definizione del diavolo diventa centrale nel linguaggio giovanneo. Essa va collegata evidentemente con la triplice stratificazione del termine kósmos, che caratterizza il Quarto Vangelo. Primo: Gv usa «mondo» in senso neutro, come semplice equivalente di «la creazione» (cfr. Gv 1,9 o 17,5). Secondo: Gv usa «mondo» per indicare che l'universo (degli uomini) è oggetto dell'amore di Dio (cfr. Gv 3,16). Terzo: Gv usa «mondo» per indicare che questo mondo, anche se amato, è capace di chiudersi irrimediabilmente davanti a Dio (cfr. Gv 17,9). L'affermazione che diavolo è «il principe di questo mondo», va presa alla luce non semplicemente del terzo di questi sensi ma di tutti e tre. Il mondo, benché oggetto della creazione di Dio e del suo amore che giunge al dono del Figlio unigenito, in realtà è capace di una chiusura in se stesso che diventa fatale. Per questa via si arriva ad una definizione di diavolo. Il diavolo, invece di essere una realtà puramente esterna a quella dell'uomo e del mondo, come potrebbe apparire negli esorcismi in cui è cacciata una forza esterna (!) che si è impadronita di un uomo, diventa qualcosa di interno al mondo. Si capisce che senza il principe il mondo non finirebbe per essere ostile, ma la definizione dell'avversario non è data dal di fuori, bensì a partire da qualcosa che è interno al mondo stesso e all'uomo. Evidentemente nella locuzione «il principe di questo mondo» l'elemento essenziale è «questo mondo». Forse è interessante ricordare che il triplice senso di kósmos (neutro, positivo, negativo) è parallelo al triplice uso della categoria «Giudei» nel Quarto Vangelo. Il fatto che nel caso dei Giudei non ci sia un principe mostra due cose che è interessante sottolineare. Per quanto riguarda il mondo Giovanni sente di dover parlare di un suo Principe, dunque c'è qualcosa di esterno: anche al negativo il mondo non funziona da solo. Al tempo stesso, però, questo Principe è definibile solo a partire da com'è fatto in realtà il mondo stesso. L'impressione è che questa "doppia appartenenza" del diavolo sia un punto di riflessione particolarmente alto, che è difficile superare davvero. Giovanni arriva a definire Gesù come «il salvatore del mondo» (Gv 4,42), solo a completamento di questa visione e in contrasto con «il principe del mondo».

8. Verso qualche conclusione sul «demonio nel NT»

Proviamo a stringere, non senza titubanza qualche conclusione. C'è davvero il Diavolo nel NT? Quale consistenza ha il Demonio nel NT? Esiste davvero la possibilità di trattare il tema «il diavolo nel Nuovo Testamento»? Riprendiamo alcuni dati.

8.1. La forza della presenza del male e la lotta impostata da Gesù

L'esorcismo esprime l'autorità della parola di Gesù, la sua reale exousía, che lo eleva sopra gli scribi e ne fa l'autentico interprete della Bibbia, pure riconosciuta autorevole, e il competente rivelatore del mondo di Dio. Non è un caso che dopo il primo esorcismo, raccontato da Mc, la gente presente in sinagoga si chieda: «Che è mai questo? Una dottrina nuova insegnata con autorità. Comanda persino agli spiriti immondi e gli obbediscono!» (Mc 1,27). Mt ha spostato questa stessa espressione al termine del discorso della montagna (Mt 7,28-29). Volatilizzare il potere esorcistico di Gesù significherebbe infliggere un duro colpo alla forza della sua parola. Certo all'avvicinarsi della passione l'attività esorcistica diminuisce sensibilmente. Questo è probabilmente il segnale che Gesù esorcista non è la parola più alta su di lui. A questo proposito è molto indicativa l'assenza del tema «Gesù esorcista» nel Quarto Vangelo. Al tempo stesso si deve dire, però, che il potere di comandare al diavolo è un accesso non trascurabile all'autorità e all'identità di Gesù.

Gesù ha una tale autorità sui demoni che può trasmettere questo potere anche ai suoi discepoli e, in particolare, ai Dodici. «Ne costituì Dodici che stessero con lui e anche per mandarli a predicare e perché avessero il potere di scacciare i demoni» (Mc 3,14-15). Relazione costante con Gesù e potere sul demonio vanno di pari passo, per costituire lo status di un discepolo che abbia responsabilità forte nella costituzione della Chiesa.

Senza attenuare la forza dei discepoli in proposito, alcuni testi lasciano capire che Gesù non attribuisce ai suoi discepoli un monopolio esorcistico. Si possono, anzi, si devono scacciare i demoni anche al di fuori dei perimetri ecclesiali. Il caso dell'esorcista non discepolo (Mc 9,38-39) e i riconoscimenti di Gesù della legittimità degli esorcisti giudei (Lc 11,19) sono chiari. L'impegno cristiano entra in un quadro più grande, che tocca tutta l'umanità.

8.2. Impossibilità di ricorrere all'idea di una semplice costruzione culturale

L'insieme del NT non è interessato a sviluppare una demonologia autonoma e completa, ma mostra chiaramente che la vita cristiana è una lotta contro le diverse forme, che affiorano nella società e nella storia come effetto di forze dichiaratamente sovraumane. Certamente la possessione diabolica, per altro come la malattia, è – oltre che un dato – anche una costruzione culturale e sociale. Lo stesso si deve dire per la guarigione e l'esorcismo, che in fondo sono valutabili come tali solo a partire da una determinata cultura.[20]

Certo si può parlare di «possessione diabolica» e dire «esorcismo» solo entro un quadro culturale che si sia concettualizzato a riguardo del male. Su certe possessioni e su certi esorcismi del NT si può discutere. Resta, però, sempre un nocciolo duro. Non si può pensare che sia possibile eliminare completamente dalla prospettiva cristiana l'idea che il male abbia una qualche sorgente sovraumana e che l'azione salvifica di Cristo sia anche (e, forse, sopratutto) una vittoria sul Maligno. Per questa via si ritrasformerebbe Gesù in un predicatore di morale e in un martire "semplice".

8.3. La risurrezione di Cristo come vittoria sul demonio

Per il NT Satana è già vinto in maniera definitiva, anche se incipiente, nella risurrezione di Cristo. I discepoli storici non hanno potuto superare la prova della passione di Gesù. Il male e Satana sono stati più forti di loro. Nessuno c'è riuscito.

Dopo la risurrezione, la situazione è cambiata: e qui abbiamo una delle affermazioni più chiare del NT. Il credente, in forza della vittoria di Cristo, è chiamato ad un combattimento che supera le sue forze. «La nostra battaglia, infatti, non è contro creature fatte di sangue e di carne, ma contro i Principati e le Potestà, contro i dominatori di questo mondo di tenebra, contro gli spiriti del male che abitano nelle regioni celesti. Prendete perciò l’armatura di Dio, perché possiate resistere nel giorno malvagio e restare in piedi dopo aver superato tutte le prove» (Ef 6,12-13).

In questa posizione non c'è "trionfalismo", ma la certezza dell'amore di Dio, nonostante le forze malefiche pesino sulla persona che soffre anche se nutrita di speranza. Scrive S. Paolo in un passo incandescente della Lettera ai Romani: «Noi sappiamo che tutto concorre al bene di coloro che amano Dio, che sono stati chiamati secondo il suo disegno. […] Che diremo dunque in proposito? Se Dio è per noi, chi sarà contro di noi? Egli che non ha risparmiato il proprio Figlio, ma lo ha dato per tutti noi, come non ci donerà ogni cosa insieme con lui? Chi accuserà gli eletti di Dio? Dio giustifica. Chi condannerà? Cristo Gesù, che è morto, anzi, che è risuscitato, sta alla destra di Dio e intercede per noi? Chi ci separerà dunque dall’amore di Cristo? Forse la tribolazione, l’angoscia, la persecuzione, la fame, la nudità, il pericolo, la spada? […] Io sono infatti persuaso che né morte né vita, né angeli né principati, né presente né avvenire, né potenze, né altezza, né profondità, né alcun’altra creatura potrà mai separarci dall’amore di Dio, in Cristo Gesù, nostro Signore» (Rm 8,28-39 passim).

9. Ultima osservazione

Il NT non insegna ad avere paura del diavolo, ma a contrastare il male più grande di noi nella certezza che la battaglia decisiva è già stata vinta da Cristo. Se questa vittoria è già avvenuta, l'esistenza del credente in Cristo è partecipazione sia alla vittoria sia alla lotta: anche noi possiamo contribuire. Certamente i credenti, impegnati nel «combattimento spirituale» e nell'impegno, anche sociale e civile, per la giustizia; ma non vanno esclusi anche «esorcisti stranieri» dal punto di vista cristiano.

Alla luce del NT non avrebbe senso, per il credente, negare l'esistenza del demonio e del demoniaco. D'altra parte, sarebbe poco equilibrato e non corrispondente ai dati veri dei testi, l'ergersi a paladini di una demologia certa, articolata e perfettamente informata. Ciò che il NT chiede e che, per altro, ha un effettivo rilievo concreto è la capacità d'impegno e di lotta contro un male che confessiamo più grande di tutti noi, ma che certamente non è più forte di Cristo.

Ermenegildo Manicardi

Studio Teologico Accademico Bolognese

P.le Bacchelli, 4 40136 Bologna



[1] Un'introduzione generale al nostro tema – rapida, recente e con una buona bibliografia – può essere: B. Marconcini, «Angeli e demoni», in Giuseppe Barbaglio, Giampiero Bof, Severino Dianich, a cura, Teologia, San Paolo, Cinisello Balsamo (Milano 2002) 2002, 36-46.

[2] Cfr. per es. Lc 13,10-17.

[3] O. Böcher, diavbolo", in Dizionario Esegetico del Nuovo Testamento I, Paideia, Brescia 1995, 721-722.

[4] O. Böcher, satana'", in Dizionario Esegetico del Nuovo Testamento II, Paideia, Brescia 1998, 1311.

[5] Un nome usato nella tradizione apocalittica e, in particolare, a Qumran.

[6] Il termine è adoperato in parole di Gesù: cfr. Mt 6,24 parallelo a Lc 16,13.

[7] La donna sembra essere «una rappresentazione celeste d'Israele»; cf. E. Lupieri, a cura, L'apocalisse di Giovanni, Fondazione Valla - Editore A. Mondadori, 1999, 191.

[8] Nel caso del drago, evidentemente la pelle tiene il posto del vestito.

[9] Le «stelle del cielo» sono in questo caso probabilmente degli angeli; cf. E. Lupieri, op. cit., 192.

[10] W. Foerster, daivmwn, in GLNT II 756.

[11] Nella traduzione della sacra Bibbia della Conferenza Episcopale Italiana si parla di «un fantasma».

[12] G. Theissen, Il Gesù storico, Queriniana, Brescia 1999, 349. In quest'opera si trova anche un capitolo dedicato alle diverse fasi della discussione sui miracoli ed esorcismi di Gesù: cfr. pp. 353-357.

[13] La cosiddetta third quest sul Gesù storico, emersa inizialmente soprattutto in ambito anglosassone, sposta l'interesse dalla teologia all'ambito storico-sociologico. «Al posto della delimitazione del Gesù storico rispetto al giudaismo si ebbe la sua collocazione entro il giudaismo; anziché la preferenza per le fonti canoniche si manifestò l'apertura alle fonti non canoniche (e in parte "eretiche")». Cfr. G. Theissen, op. cit., 24-25.

[14] Gli episodi raccontati in Mc sono quattro; Mt e Lc ne riprendono solo tre. Un testo sembra testimoniare un possibile racconto «Q» (Mt 12,22-23a parallelo a Lc 11,14). Mt 9,32-33 sembra un testo redazionale a partire da una tradizione «Q». Infine, anche la notizia di Lc 8,2 sembra credibile.

[15] J. P. Meier, Un Ebreo marginale. Ripensare il Gesù storico. 2/ Mentore, messaggio, miracoli, Queriniana, Brescia 2002, 759-792.

[16] La tradizione marciana parla del potere esorcistico di Gesù in Mc 3,22-27.

[17] O. Böcher, diavbolo", in DENT II 717.

[18] A. Sisti, «Angeli/Demoni», in Nuovo Dizionario di Teologia Biblica, Ed. Paoline, Cinisello B. (MI) 1988, 68-75.

[19] Gesù non solo va da Giovanni Battista, ma si fa battezzare lui stesso. Il fatto di confessare i peccati non comporta che queste trasgressioni siano delle azioni legate alla responsabilità personale del soggetto; può essere confessione dei «propri peccati» anche quella che dichiara le mancanze del popolo cui si accetta di appartenere sostanzialmente.

[20] Le cose ascoltate a questo proposito, ieri dai Professori Paolo Xella e Piero Capelli sono molto istruttive.


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