CORSO DI EBRAICO BIBLICO Vicenza, 30 dicembre 2009 – 5 gennaio 2010
«Il Signore disse ad Abramo…» Vita di uno ‘specchio’ di Dio.
«Il Signore disse ad Abram: “Vattene dal tuo paese, dalla tua patria e dalla casa di tuo padre, verso il paese che io ti indicherò”» (Gen 12,1). La “chiamata di Abramo”, che è all’origine non solo delle tre religioni monoteistiche, ma del nostro modo di concepire la storia, il passato, il futuro, ha due Abramo. Da “Biblical Stories in Islamic Painting caratteristiche fondamentali, che tutti quanti in qualche modo viviamo senza rendercene conto: la prima è, se posso esprimermi paradossalmente, che non siamo alberi, cioè radicati in quella terra che tuttavia chiamiamo patria; la seconda, che la vicenda dell’umanità e di ogni uomo è di un andare, di un “uscire da” (Esodo) e di un “andare verso” (Terra Promessa). Ma nel caso di Abramo c’è un elemento in più: Dio gli dice di andare, ma non dice dove. È questo l’elemento della fede. Un elemento che innerva tutta la storia di Israele, e anche (se ne siamo coscienti) del cristianesimo, e che ha il suo culmine simbolico e liturgico nella Pasqua ebraica. Pasqua, Pesach, che etimologicamente, esprime un passaggio, ed è quindi il ponte tra il nostro ricordare e il nostro sperare, tra il racconto e l’attesa. Non è un caso che la Bibbia cominci con le parole «In principio» e si concluda con l’invocazione «Vieni, signore Gesù». Ecco perché la storia di Israele, o meglio la coscienza con cui la si vive, è stata definita da Stefano Levi Della Torre, «il dilemma ebraico tra diaspora e ritorno»: in molti sensi, spirituali e topografici, psicologici e sociologici. Ma, se torniamo ad Abramo, ciò che soprattutto ci colpisce, come già abbiamo osservato, è il suo dire “si” all’ignoto, al silenzio di Dio. E un altro elemento sta nel cuore di ogni “cammino” biblico: io so di andare, ma non so se giungerò. Il destino di Mosè che dopo quarant’anni di cammino nel deserto muore senza giungere alla meta, è forse il più tragico in tutta la storia biblica, insieme a quello di Gesù: per entrambi vale il detto di rabbi Tarfon: «Non sta a te compiere l’opera, ma non sei libero di sottrartene» (Pirqè Avot II, 20). Non è priva di significato la leggenda ebraica secondo cui tra tutti gli ebrei usciti dall’Egitto, tranne Giosuè, solo i bambini arrivarono alla Terra Promessa (si legga la commovente poesia di Bjalik, I morti nel deserto). Anche noi facciamo parte di questo “cammino”. Ma il fatto che nessuno di noi giunga alla Terra Promessa (se è permesso adottare le categorie esodiche) ci deve rendere consapevoli proprio del valore del cammino. Del resto anche Dio camminava con Israele, nella sua presenza quasi sacramentale dell’Arca Santa. E anch’Egli, per riprendere una riflessione di J. Ch. Yerushalmi, sta nelle due facce del cammino: il racconto e l’attesa. Proprio per questo Abramo (più ancora di Mosè) è due volte immagine e somiglianza di Dio. Come uomo, ma anche come “specchio” di Dio: in lui infatti Dio è raccontato, e da lui Dio attende… Attende una storia che Lo riguarda, e dipende dal “si” di Abramo: quando, come abbiamo detto, Abramo accettò di andare verso l’ignoto, e quando alzò il coltello sul figlio unigenito. Sono questi i momenti che – per parafrasare una stupenda espressione di Doctorov – aiutano Dio a esistere. Leggere la storia biblica di Abramo nella lingua in cui è stata scritta sarà doppiamente emozionante: ci avvicinerà al testo che è alla base delle molteplici future traduzioni, ci aiuterà a imparare sempre più la “lingua degli angeli”… per non parlare poi del racconto stesso che verrà ampiamente commentato e discusso, come siamo soliti fare nei nostri incontri. Paolo De Benedetti NOTE TECNICHE Luogo e docenti Il corso si terrà a Vicenza, presso il la “Casa Sacro Cuore” (corso Padova 122; tel. 0444/505265). Torneremo, dopo alcuni anni di diaspora, in questo istituto, tanto accogliente, dove siamo già stati in passato per vari anni. Ci torniamo perché ci siamo stati bene e anche per una certa nostalgia delle suore stesse e della loro casa, oltre che dei tanti amici vicentini che hanno condiviso con noi lo studio dell’ebraico, e che speriamo torneranno quest’anno ancora più numerosi. Come sempre, ci saranno momenti di svago e di visite alla città e dintorni, serate con animazione, la tradizionale tombola di fine anno, alcuni “visiting professors” che approfondiranno per noi alcuni aspetti della vita di Abramo e soprattutto i nostri maestri storici: Nicoletta Menini per i principianti (che dovranno già conoscere almeno l’alfabeto ebraico) che impareranno con lei, quasi magicamente, a leggere e tradurre l’ebraico, a riconoscere verbi e parole fondamentali, a entrare nel mondo affascinante di questa lingua antica e moderna, in una settimana di corso molto intensivo; Paolo De Benedetti, che condurrà il corso degli “avanzati”, della cui presenza profonda, stimolante, sempre originale e accattivante, solo chi ha avuto modo di frequentarlo può dire. Con lui leggeremo, tradurremo e commenteremo i capitoli 12-23 della Genesi. Iscrizione e costo La pensione completa costa € 45 al giorno in camera doppia e € 55 in camera singola. La partecipazione al corso è di € 100 per i Soci di Biblia e per i giovani sotto ai 30 anni, mentre per gli altri è di € 120. Per l’iscrizione occorre inviare la scheda debitamente compilata, insieme al costo della prima notte (rimborsabile in caso di ritiro entro il 30 novembre) e a € 20 di iscrizione (non rimborsabile in caso di ritiro). Si raccomanda di arrivare e di partire secondo gli orari previsti: dalla cena di mercoledì 30 dicembre 2009 al pranzo di martedì 5 gennaio 2010. RELAZIONI Un patriarca e i suoi fans
Pensare di poter dire qualcosa di nuovo e interessante su un tema biblico rivolgendosi agli amici di Biblia è veramente un voler «portar vasi a Samo». Eppure i libri dell’Antico e del Nuovo Testamento, ogni volta che ci si accosti a leggerli e commentarli con umiltà e pazienza, sembrano sempre che rivelarci nuovi spunti di riflessione. Quale è il punto rilevante? È che ogni epoca, e ogni gruppo di persone caratterizzate da una comune formazione culturale di base, almeno nella nostra civiltà occidentale (che qualcuno, secondo me sbagliando, chiama giudeo–cristiana, dimenticando l’apporto fondamentale fornito dell’Islam alla cultura europea) e alla fine ogni persona, può dare e dà una sua lettura dei testi. E già il fatto che ormai siano accessibili, con spese non eccessive di tempo e di denaro, i commenti stratificati di studiosi lungo un arco di molte centinaia di anni, non fa che accrescere tale senso di ammirato stupore. Talora, tra l’altro, non si riflette a quanto relativamente recente sia questa situazione. A cosa si può paragonare l’esperienza della lettura? Forse con l’ingresso in un qualche enorme museo che offra innumerevoli percorsi diversi che non é pensabile di poter visitare completamente, ma che in ogni sala rivela pezzi che ti risultano nuovi, che non ricordavi, oppure che ricordavi che c’erano ma che. Rivisitati, scopri che forse prima ti apparivano diversi e così via. Questa volta abbiamo riletto le vicende di Abramo e discusso a lungo del suo particolare rapporto col Dio della Genesi, e anche della diversa lettura di tale rapporto che viene fatta nella tradizioni interpretative delle religioni abramitiche. È ovvio che cercare di trarre una qualsiasi «conclusione» della nostra discussione sarebbe totalmente privo di senso: i nostri sono percorsi di lettura comune e sociale, non convegni di studio. Mi sarebbe anche difficile riportare in sintesi alcuni spunti che mi hanno particolarmente colpito (che ovviamente ci sono stati, e anche frequenti). Mi viene invece più semplice e spontaneo riflettere su ciò che caratterizza (o almeno mi sembra) la nostra (di Biblia) «operazione di lettura e commento»; perché penso che riveli aspetti di notevole singolarità e interesse. Provo a riassumerli in una successione di punti. a) Il primo aspetto saliente della nostra lettura,é la assoluta libertà con cui ognuno espone il proprio pensiero e porta il proprio contributo di conoscenza e riflessione. È vero, c’é la guida di De Benedetti. Che però... non è una guida. Io direi che è una presenza.Che è altra cosa. De Benedetti non legge e non «spiega». Più che altro riflette a voce alta; e talora (spesso) tace. Poi ti accorgi che ha ascoltato e capito. Ogni tanto (spesso) ti spiazza con una battuta fulminante. C’è anche la presidentessa che (forse) dovrebbe «mettere ordine» alla discussione. Ma… «o c’è o ci fa’». Nel senso che o non è capace di evitare la continua baraonda degli interventi che si sovrappongono. O, più plausibilmente, a lei va bene così. Forse lo ha perfino confessato. E, in fondo, questo vale anche per me. Almeno fino a che l’apparecchio acustico che già devo usare si rivelerà sufficiente. b) La lettura nostra è insieme in una mistura strana personale e sociale. Ognuno «butta là» in pasto agli altri (a tutti gli altri) quello che sa (meglio: che crede di sapere) e le sue riflessioni estemporanee. In questo la lettura è personale. Ma essa è anche sociale, non solo perché siamo in tanti nella stessa sala; ma soprattutto perché siamo ben consci (io lo sono e penso ciò valga per molti) che il nostro parlare, riflettere e ripensare è insieme una sonda nel pensiero e nell’animo di altri e una voce che attende un eco. Anche leggendo la Bibbia la formazione del nostro io è una costruzione almeno in parte nelle mani degli altri. c) Come frutto immediato della libertà di cui sopra, si ha che gli aspetti sotto i quali viene esaminato il tema sono diversissimi. Ci sono tentativi di lettura storico-critica, altri attenti agli aspetti per così dire filologici e linguistici, altri che portano in auge la tradizione commentaria storica, altri i commenti sull’insegnamento morale che si può (se si vuole: ognuno è libero di farlo o no) trarre dal testo. Questa volta abbiamo avuto l’occasione della presenza di un commentatore di educazione ebraica rigorosa e addirittura di tendenze mistiche. d) Un elemento che credo molto peculiare della associazione è che nei fatti la larga maggioranza dei partecipanti (almeno alle letture bibliche) é composta da persone religiose. Di fedi diverse: ma questo non sarebbe ornai (e per fortuna) cosa così eccezionale. Il fatto raro (almeno per nostro paese) é il senso di laicità rigorosa (e rispettosa) con cui operano socialmente. È inutile spiegare quali siano i vantaggi di questo costume. e) Altro elemento insolito é lo spettro molto largo di età dei partecipanti .La società italiana attuale é molto segmentata per età,e giovani con una differenza di un decennio quasi non si capiscono. Che un giovane parli e discuta con un vecchio, al di fuori di obblighi di mestiere o di ruolo o (più raramente) di famiglia, é considerata una stranezza. Biblia coltiva questa stranezza. f) Il fatto che diecine di persone in larga misura in età di lavoro con impegni familiari e sociali, trovino il tempo da dedicare a un “hobby” abbastanza impegnativo e tutt’altro che socialmente qualificante o promovente come lo studio di una lingua “morta” è già abbastanza notevole. Che al posto del «cenone di capodanno» si accontentino di..quel che passa il convento, ossia della austera cucina di suore, rafforza il senso di stranezza.Ma che addirittura siano capaci di stare una intera settimana senza guardare la televisione e nessuno sembri soffrirne... Beh,questa è grossa davvero. A questo punto si potrebbe pensare che il senso di queste riflessioni mi porti a una specie di «fierezza di gruppo» per la appartenenza alla associazione. Ma io trovo che un tale atteggiamento sarebbe improprio. Secondo me Biblia ha semplicemente il diritto (e in qualche misura il dovere sociale) di far sapere che esiste e che offre una specifica e peculiare opportunità. E ho la sensazione che chi ci incontra tenda a non perdere l’occasione di sfruttarla. Marco Maestro
La lingua dell’ineffabile
Ricordo ancora vividamente il giorno in cui, molti anni fa, presi in mano una grammatica ebraica e tentai di impararne l’alfabeto. Compresi immediatamente che quelle lettere non erano semplicemente segni grafici, ma racchiudevano in sé un intero mondo. Oggi, con una decina d’anni di studio alle spalle, credo d’essere ancora alle soglie di quel mondo. In ebraico sono stati scritti testi sacri e profani, testi liturgici e poesie d’amore; da più di tremila anni l’ebraico è utilizzato in tutto il mondo da ebrei, e non solo,per parlare, pregare, studiare, cantare, giocare… Eppure, studiando i testi biblici, ho scoperto che la lingua ebraica con il suo alfabeto si distingue da tutte le altre lingue, così come la prima notte di Pesach si differenzia da tutte le altre notti. E’ come se questa lingua avesse veramente in sé l’impronta, o meglio lo spirito, di Colui il quale secondo la tradizione rabbinica l’ha creata al crepuscolo del sesto giorno della Creazione poco prima dell’inizio del riposo sabbatico. Questo carattere distintivo l’ho percepito con maggiore intensità quest’anno, traducendo con gli amici di Biblia i capitoli del Genesi dedicati alla storia d’Abramo. In quei versetti di facile lettura e traduzione, si nascondono possibilità interpretative inaspettate. Nel nostro percorso a cominciare da quel «Lekh Lekhà» della chiamata d’Abramo alla sua discesa dal monte Moriah dopo la «Legatura d’Isacco», abbiamo dovuto superare, sostenendoci l’un l’altro, abissi oceanici e vette himalayane, e ci siamo incagliati fra scogli di bassi fondali. Solo la saggezza del nostro maestro Paolo De Benedetti ci ha tratto in salvo, pronunciando la parola «tequ», cioè «sospeso». Forse arrendersi ai molteplici sensi di un termine dell’ebraico è l’unico modo per poter comprendere la bellezza di questa lingua allo stesso tempo antica e moderna, nella quale da millenni Dio chiama l’Uomo e questi gli risponde: «Hinneni» cioè «Eccomi». In quel hinneni l’ebraico mi si svela, se così si può dire, come la lingua dell’ineffabile.
Marzia Toffoletti |