"E SUBITO LO SEGUIRONO": I DISCEPOLI DI GESÙ Seminario invernale
Perché ci sono i discepoli? A questa
domanda non si riesce a dare una risposta univoca. Non lo si può fare
perché non ogni discepolato equivale a un altro. Vi è innanzitutto
un modello che potremmo chiamare istituzionale. Esso si sviluppa su per giù
nel modo seguente: vi è una scuola e vi sono dei maestri; il loro insegnamento
è considerato formativo; dei giovani vanno ad ascoltare le loro parole;
si instaura così la relazione tra il maestro cercato e i discepoli accolti;
in seguito alcuni di questi sono destinati a diventare a loro volta docenti
prendendo il posto dei loro insegnanti. Per questa via sapere e istituzione
si conformano al succedersi delle generazioni. In altre parole, gli scolari
bussano alla porta del maestro, egli li fa entrare, in seguito qualcuno di loro
sarà destinato ad occuparne il posto. Questo modello è conforme
al discepolato rabbinico e, in verità, a ogni altra istituzione, religiosa
o laica, preposta a trasmettere sapere.
La domanda iniziale trova ora un primo tipo di risposta: i discepoli servono
per garantire la permanenza di una comunità nonostante il fatto che i
suoi membri cadano a poco a poco nella gola della morte. Nasce in questa maniera
una tradizione la quale diviene vita che perdura per il popolo d'Israele, per
la Chiesa o per l'Umma musulmana, non già per una persona singola.
Anzi per quest'ultima il tradere, il tramandare, il consegnare implicano sempre
la morte. Si affida la parola, il messaggio, la testimonianza ad altri come
sigillo della finitezza di una vita destinata a ripiegarsi e a scomparire. Per
questo la tradizione prende avvio dalla consegna.
Il discepolato di Gesù colto nella prospettiva della passione, della
morte e della resurrezione, ha tratti che si conformano a questo modello. Ciò
avviene quando si mette in conto che Gesù possa non più essere
presente sulla terra. La constatazione del fatto che all'investitura di Pietro
succeda immediatamente il preannuncio della passione va colta prima di tutto
in questa ottica: il capo dei Dodici deve prendere il posto di chi conoscerà
la morte (cfr. Mt 16,13-23 ).
La croce muterà per sempre le modalità con le quali Gesù,
da risorto, sarà in mezzo a noi. Esse non saranno mai più quelle
proprie di quando camminava per le vie della terra d'Israele. All'inizio della
missione le cose, però, erano molto diverse. Allora con i discepoli Gesù
si comportava in maniera del tutto differente da quella descritta in precedenza.
Il punto di riferimento era la sua persona, non un'istituzione. Per questo era
lui a chiamare i discepoli e non questi ad andare da lui. Chi chiedeva di seguirlo
poteva essere anche scoraggiato a farlo. Basti questo confronto: Gesù,
passando lungo il mar di Galilea, vide Simone e suo fratello Andrea, li chiamò
per renderli pescatori di uomini ed essi, lasciate le reti, lo seguirono
(Mc 1,16-18), mentre,
in altra occasione, a chi chiedeva di seguirlo, rispose che le volpi hanno le
tane e gli uccelli un nido ma il Figlio dell'uomo non ha dove posare il capo
(Mt 8,18-20). Si aggiunga che nessun discepolo
avrebbe mai potuto prendere il posto del maestro. Nessuno era allevato per diventare
come lui. Altra caratteristica da sottolineare: tra coloro che andavano sempre
con lui vi erano anche donne. Tra i discepoli egli costituì un gruppo
più ristretto formato dai Dodici. Un numero non ingente, ma fortemente
simbolico del ripristino della perduta totalità d'Israele
(cfr. Mt 19,28). All'inizio della predicazione di Gesù i discepoli non furono costituiti all'insegna di un legame plurigenerazionale che controbilanciasse la rottura provocata dalla morte individuale; al contrario la loro chiamata avvenne nella prospettiva della imminente e definitiva venuta del regno di Dio. Si attendeva l'irrompere di un mutamento radicale, non il prolungarsi di una realtà già data. Tutto inizia da lì, ma non tutto termina a quel punto. Nella vita pubblica Gesù e i suoi discepoli hanno infatti sperimentato una realtà paragonabile a quanto avviene nella nostra comune esistenza: non sappiamo il futuro che ci attende e se lo conoscessimo in anticipo ci spaventerebbe. A ogni giorno basta la sua pena
(Mt 6,34). Piero Stefani
RELAZIONE « “E subito lo seguirono”: i discepoli di Gesù» Seminario invernale, Vico Equense: 26-29 gennaio 2006 Questa terra benedetta dalla bellezza ci accoglie con le sue stupefacenti contraddizioni. Conosciamo le tante situazioni negative di questi luoghi, i bisogni e i disagi non risolti, ma come non sentirsi riscaldati dalle gentilezze, dalla sorridente partecipazione, dalla simpatia accogliente della sua gente? Arriviamo sul marciapiede della Circumvesuviana. Il nostro treno è un direttissimo: ci chiediamo se fermerà a Vico Equense e cerchiamo qualche cartello esplicativo, o qualche addetto della stazione. Nulla. Ma ecco una gentile ragazza che ci assicura sorridendo: sì, ferma a Vico Equense. Saliamo sul treno. E’ già buio e la segnalazione luminosa delle stazioni non funziona. Riconosceremo la stazione giusta? Ed ecco un giovane bruno, che torna a casa dopo le lezioni universitarie. Interloquisce gentilmente col dire che ci avrebbe avvisati quando fossimo giunti a Vico. Penso che forse la nostra signora Ciampi sia stata colpita da queste qualità quando ha dato il suo lusinghiero giudizio sulla gente del Sud. E quando, nella serata offertaci, siamo stati trascinati nell’allegria, nella commozione dalle bellissime canzoni napoletane e dallo spirito di chi le accompagnava! Qualche parola va spesa anche per la guida-filosofo che ci ha accompagnati nella gita sulla Costiera Amalfitana. La bellezza dei panorami condita dalla battute gentili che ci indirizzavano all’ottimismo, alla serenità, a godere di quanto ci riempiva gli occhi, senza preoccupazioni e cercando sempre il bello e il buono. Una bella lezione E dopo sono venute le nostre lezioni, il nostro essere accolti all’interno del grande Libro. Il professor Claudio Gianotto ci ha fornito la cornice storica del discepolato di Gesù attraverso un’indagine sulla numerosità dei “dodici” (i cui nomi risultano quasi completamente, ma non integralmente sovrapponibili, nei Vangeli sinottici) e attraverso le parole di Marco, di Matteo, di Giovanni. Marco ci indica la casualità dell’incontro, la subitanea iniziativa di Gesù e l’immediata risposta dei discepoli alla chiamata. Matteo sottolinea che l’iniziativa personale dell’aspirazione al discepolato viene messa alla prova con la richiesta di una scelta drastica. Giovanni infine indica la mediazione di altri che conducono a Gesù. Ma la caratteristica fondamentale del discepolato gesuano in tutto il Vangelo è la condizione permanente del discepolato stesso: il legame di Gesù come situazione mentale e spirituale definitiva. Il professor Giorgio Jossa ci pone davanti e ci fa ragionare su molteplici interrogativi cui possiamo dare solo risposte ipotetiche. Il “movimento” di Gesù non ha suscitato grande attenzione nel mondo nella sua epoca storica e probabilmente si può parlare di movimento solo quando nacque la fede nella Resurrezione. Tuttavia se noi siamo abituati a vedere essenzialmente i “dodici” come discepoli (e sostanzialmente coincidenti con gli apostoli) al tempo di Gesù sono indicati anche i discepoli itineranti. Accanto a Lui si muove la folla che lo segue: ed ecco che la “chiamata” sfocia nella “missione”. L’ingresso nella comunità di Gesù avviene con la fede e tale fede viene indicata a tutti. Il professor Enrico Norelli ci conduce all’interno del gruppo dei dodici, attraverso varie fonti, accennando all’ipotesi di un numero simbolico come quello delle dodici tribù: comunque i “dodici” sono coloro che sono ammessi a comprendere i “misteri del regno”, sono i garanti dello Spirito nella comunità e fanno da tramite tra Gesù e la Chiesa. Don Ettore Franco ci coinvolge in prima persona: discepolato è una parola che si rivolge a ciascuno; non tutti i discepoli sono nel gruppo dei dodici, ma tutti i discepoli sono apostoli. Tutti i credenti sono invitati a comunicare il Vangelo. Paolo indica la sequela nel rischiare: tutti diventano testimoni nel momento in cui seguono il comandamento dell’amore, avendo fatto esperienza del Risorto. Così tutti hanno come modello il Maestro, ma il credente non potrà arrivare al modello. I dubbi, le incredulità sono parte dell’uomo: uomo che tuttavia si muove condotto dalla fede nell’onestà, nel rispetto dell’altro, nel discernimento. Proseguendo il nostro studio, ecco Pius-Ramon Tragan che ci indica il discepolo prediletto: è anonimo, è un personaggio reale? Potrebbe essere Marco, Giovanni, Lazzaro, oppure simboleggiare la Chiesa etnico cristiana? Ma il discepolo che “Gesù amava” è probabilmente un uomo colto intorno al quale si costituisce una scuola di alto valore storico, teologico, liturgico, e intorno al quale si svilupperà la tradizione giovannea. Nella viva attenzione di noi donne, Letizia Tommasone ci parla di Maria di Magdala. Non ci sono indicazioni di “apostoli” donne, ma la presenza di esse nella sequela di Gesù è ben testimoniata. D’altra parte nella concezione di quei tempi è anche testimoniato il conflitto tra Pietro e Maria Maddalena per il suo essere donna:tuttavia è lei che trova il vuoto del sepolcro e incontra il vuoto del corpo glorioso del Risorto e capisce, e crede e comunica agli altri. Dalla fede, il convegno ci conduce alla carità: Don Ernesto Della Corte ci parla di Stefano e dei sette che si riuniscono, né presbiteri, né diaconi, ma ai quali i credenti si affidano sulla spinta entusiasmante della Resurrezione. Per primo Israele, nella sua componente ortodossa, ma anche in quella eterodossa, e poi L’Israele della diaspora, e poi i gentili, e infine tutti i popoli della terra. Le due ultime relazioni ci conducono ad interrogativi sull’attualità. Secondo Daniele Garrone il primato di Pietro si identifica con la proclamazione che Gesù ne fa di “beato”, Pietro è beato in quanto è stato oggetto di una rivelazione. La Chiesa è costruita sul fondamento degli apostoli e dei profeti. E’ solo con Cipriano che si comincia a parlare della “cattedrale di Pietro a Roma”, un secolo dopo, con Leone Magno, la dottrina è già sviluppata in tutti gli aspetti. Oggi, anche tra i protestanti, ci si interroga su come esercitare il ministero petrino: secondo Kullmann Pietro designa soltanto una immagine apostolica irripetibile, e non un ministero. Comunque la Chiesa fondata sulla roccia ci mette anche oggi sulla strada del discepolato. L’attualizzazione del tema del convegno ha il suo culmine esaltante e commovente nella relazione del pastore Paolo Ricca. Disse Nietzsche: nella storia della Chiesa c’è stato un solo cristiano e l’hanno inchiodato sulla croce. Ciò significa che il discepolo è titolare di un paradosso. Egli non può essere discepolo per i suoi troppi limiti e nello stesso tempo non può non esserlo per l’irrinunciabilità della chiamata alla quale non può sottrarsi. Caratteristica del Dio della Bibbia è che fa “muovere” Abramo, Mosè, gli Ebrei dall’Egitto. È forse più importante partire che arrivare; e Gesù chiamava, dicendo “tu seguimi”, senza dire dove si sarebbe arrivati; e diceva «io sono la via», non «io sono la meta». Discepolo non è un uomo arrivato, ma un uomo partito. E oggi cosa deve fare il discepolo? Deve credere, sperare e amare: dove credere significa pensare e progettare in continuo dialogo con un Padre che parla. Il discepolo deve sperare anche se il cuore è pieno di dolore; deve amare: e l’amore primeggia e mette in opera il credere e lo sperare. Credere significa vivere davanti a Dio. Sperare significa vivere in vista di Dio. Amare significa vivere in Dio. Liana Carones
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