APPROFONDIMENTI CULTURALI  - XXXX                                                                        (ANNO XX - N.3)                                                                                                                            


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Da “Dei Verbum”

al futuro della Chiesa e della società in Occidente.

Per leggere la Bibbia nella vita di tutti


 

      Ringraziamo il prof. Ernesto Borghi (Vedi un suo scritto sul Web, in francese) per averci permesso di pubblicare questo suo testo. L’articolo si muove per lo più  in un ambito cattolico, ma, per le sue aperture, siamo sicuri che interesserà ogni lettore.

 


 

             La Bibbia è la fonte primaria di riferimento per la vita di ebrei e cristiani e una delle radici essenziali della cultura dell’Occidente? Questo interrogativo appare più che legittimo, quando si considera lo sviluppo storico euro-occidentale ed euro-mediterraneo almeno degli ultimi duemilacinquecento anni e la prassi esistenziale comune, perlomeno dal secondo Dopoguerra ad oggi.

 

1. Constatazioni contemporanee

             Infatti un numero strabocchevole di documenti letterari ed artistici testimonia la storica importanza delle Scritture ebraiche e cristiane nella cultura di una porzione significativa del nostro pianeta. Valori rivendicati da momenti decisivi della storia occidentale quali libertà, fraternità ed uguaglianza trovano, in vari testi biblici, fondamenti e presupposti. Numerose espressioni proverbiali delle lingue europee riprendono o parafrasano versetti del Primo o del Nuovo Testamento. E le esemplificazioni potrebbero continuare.

             Nonostante tutti questi elementi oggettivi la conoscenza approfondita di questo straordinario tesoro di etica e di estetica per la vita di tutti resta sempre poco diffusa, in particolare in Europa e nelle regioni europee italofone. Tale fenomeno è deprecabile soprattutto in un’epoca come la nostra assai diversa da quelle in cui l’analfabetismo era endemico e la lettura diretta della Bibbia era osteggiata nella Chiesa e nella società. Probabilmente le ragioni di questa situazione vanno ricercate anche nella fisionomia attuale della vita di gran parte della popolazione del “Primo Mondo”, contrassegnata da tre costanti socio-culturali:

            • la persuasione che economia e finanza debbano essere il cuore di ogni realtà e che qualsiasi azione umana debba essere ricondotta a finalità economicistiche che mirano ad uno sviluppo essenzialmente materiale;

            • la convinzione, quasi fatalistica, che le relazioni interpersonali possano essere sempre più scisse dal richiamo forte alla responsabilità e fiducia tra i partner, nell’unità di cuore e cervello, emotività e razionalità;

            • il prevalere di una fruizione culturale che predilige l’esteriorizzazione e la spettacolarizzazione facile e ed emotivistica e i loro esiti rispetto ai risultati che richiedono pazienza esegetica e concentrazione ermeneutica.

             I valori essenziali che discendono dall’idea di Dio e di essere umano che la Bibbia propone vanno in una direzione del tutto diversa. Si parte dalla convinzione che l’essere umano sia un’individualità cosciente e responsabile dei propri atti, dunque soggetto di atti non immediatamente riducibili alle leggi che regolano il restante mondo fisico. Conseguentemente i valori di coscienza, di responsabilità e di emancipazione da una relazione soffocante con la materialità sono costituzionali all’esistenza umana. Il messaggio di bellezza avvolgente, di bontà radicale, di libertà intensa che emerge da tanti passi biblici appare una grande possibilità di vita piena per chiunque. Purtroppo tale consapevolezza stenta molto a diffondersi a livello davvero endemico.

 

2. La vita della Chiesa e la Bibbia

             La costituzione dogmatica conciliare “Dei Verbum”, in particolare al n. 25, incoraggia, a vario titolo e in tante direzioni, verso la lettura delle sacre Scritture. Gli ultimi duecentocinquant’anni e, in particolare, soprattutto per i cattolici, gli ultimi quaranta sono stati fondamentali per un rapporto tra i credenti e le Scritture sempre più effettivo in quanto scientificamente sostenibile ed esistenzialmente maturante. Nelle tre dimensioni costituzionali della vita ecclesiale – la catechesi, la liturgia, la solidarietà sociale fattiva – la Bibbia ha conosciuto e conosce una presenza certo molto significativa.

 

2.1. Aspetti positivi

Il processo “provvidenziale” che ha avuto, tra i suoi decisivi sostenitori, numerosi esponenti storici della Riforma protestante nella prospettiva, variamente fondata, di una centralità delle Scritture nella vita della Chiesa, ha trovato le sue affermazioni più autorevoli, tra i cattolici, negli ultimi centodieci anni, tramite alcuni documenti magisteriali importanti. Mi riferisco, come è quasi ovvio, alle encicliche “Providentissimus Deus” (papa Leone XIII - 1893), “Divino Afflante Spiritu” (papa Pio XII -1943) e soprattutto alla stessa costituzione dogmatica conciliare “Dei Verbum” (1965), ripresa, “aggiornata” e sviluppata da due documenti della Pontificia Commissione Biblica quali “L’interpretazione della Bibbia nella Chiesa” (1993) e “Il popolo ebraico e le sue Sacre Scritture nella Bibbia cristiana” (2001).

In buona parte delle Chiese cristiane, soprattutto tra cattolici e protestanti-riformati, si possono oggi vivere itinerari comuni di lettura ed approfondimento delle Scritture, a livello scientifico-accademico o divulgativo-esistenziale. Ciò avviene anche perché - sia pure con una lentezza talora assai poco evangelica e certamente non dovunque -, sono via via più diffuse due persuasioni:

• l’idea che le metodologie del filone storico-critico siano la base per qualsiasi approccio non fondamentalistico alla Bibbia2. Pertanto sia l’esegesi che l’ermeneutica sono momenti distinti ma indissolubili di qualsiasi confronto con i testi biblici;

• la consapevolezza che per crescere nella fede cristiana l’ascolto della Parola di Dio e il confronto tra essa e la propria vita siano del tutto basilari per qualsiasi discorso formativo.

Se ci si riferisce anzitutto all’ambito cattolico, da alcuni anni a questa parte si verifica almeno una situazione interessante e, per certi versi, paradossale. La grande maggioranza dei vescovi è anagraficamente legata ad una formazione personale poco o per nulla informata da una lettura scientificamente seria ed aggiornata delle Scritture. D’altra parte aumentano sensibilmente le iniziative e gli strumenti di notevole qualità che le reputano fondanti per qualsiasi discorso di autentica crescita cristiana e che contribuiscono realmente a farle conoscere ed apprezzare. Papa Benedetto XVI, in occasione della “XXI giornata mondiale dei giovani” (9 aprile 2006), si esprime così:

«Scrive l’Autore della Lettera agli Ebrei: “La parola di Dio è viva, efficace e più tagliente di ogni spada a doppio taglio; essa penetra fino al punto di divisione dell’anima e dello spirito, delle giunture e delle midolla e scruta i sentimenti e i pensieri del cuore” (4,12). Occorre prendere sul serio l’esortazione a considerare la parola di Dio come un’ “arma” indispensabile nella lotta spirituale; essa agisce efficacemente e porta frutto se impariamo ad ascoltarla, per poi obbedire ad essa. Spiega il Catechismo della Chiesa Cattolica: “Obbedire (ob-audire) nella fede è sottomettersi liberamente alla Parola ascoltata, perché la sua verità è garantita da Dio, il quale è la Verità stessa” (n. 144). Se Abramo è il modello di questo ascolto che è obbedienza, Salomone si rivela a sua volta un ricercatore appassionato della sapienza racchiusa nella Parola. Quando Dio gli propone: “Chiedimi ciò che io devo concederti”, il saggio re risponde: “Concedi al tuo servo un cuore docile” (1Re 3,5.9). Il segreto per avere “un cuore docile” è di formarsi un cuore capace di ascoltare. Ciò si ottiene meditando senza sosta la parola di Dio e restandovi radicati, mediante l’impegno di conoscerla sempre meglio. Cari giovani, vi esorto ad acquistare dimestichezza con la Bibbia, a tenerla a portata di mano, perché sia per voi come una bussola che indica la strada da seguire… Costruire la vita su Cristo, accogliendone con gioia la parola e mettendone in pratica gli insegnamenti: ecco, giovani del terzo millennio, quale dev’essere il vostro programma! È urgente che sorga una nuova generazione di apostoli radicati nella parola di Cristo, capaci di rispondere alle sfide del nostro tempo e pronti a diffondere dappertutto il Vangelo».

Anche queste parole dimostrano, tra l’altro, quanti progressi si siano realizzati rispetto ad un passato, anche piuttosto recente, in cui tristi timori e gravi sospetti accompagnavano tutti coloro i quali – fossero anche seminaristi e membri di ordini e congregazioni religiose - cercavano di possedere una copia della Bibbia per leggerne effettivamente le pagine e approfondire quanto vi era contenuto.

In questo quadro, ricco di “luci”, che delinea un dinamismo certamente positivo, le ombre e le difficoltà indubbiamente non mancano.

 

2.2. Ombre da eliminare e aspetti da sviluppare notevolmente

Non pare che la Bibbia costituisca ancora il punto di riferimento centrale nella pianificazione pastorale e nelle proposte formative a tutti i livelli culturali ed anagrafici del popolo di Dio, perlomeno in Europa.

Questo fatto dipende certamente da molte ragioni, tra le quali la stessa formazione dei vescovi, spesso in grado di cogliere la bellezza ed efficacia di una conferenza o di una lectio, ma poco inclini ad impostare l’intera azione del loro ministero e del loro magistero a partire e sulla base della Parola di Dio nel senso più profondo ed originario del termine. Figure episcopali come il card. Carlo Maria Martini non paiono avere molti “emulatori” e non soltanto per carenze di preparazione tecnica di molti successori degli Apostoli3. Forse questi limiti sarebbero avviati a superamento, se la globalità dei vescovi potesse sposare, nella sua mentalità e prassi pastorale, l’idea di lasciarsi guidare da affermazioni significative come questa:

La Bibbia «in quanto norma insuperabile per la chiesa, l’annuncio e la fede ecclesiale, rappresenta il criterio fondamentale e decisivo per tutte le altre istanze di testimonianza e queste istanze – la Tradizione, il senso della fede di tutti i credenti, il magistero ecclesiale e la teologia scientifica – non sono da vedere isolate, ma devono essere colte nella loro relazione con la Scrittura e tra di loro»4.

A quanto detto sinora si aggiunge un altro dato che mi pare assai importante. Vi sono ambienti ecclesiali in cui prevalgono clericalismi e personalismi che fanno guardare, con maggiore rispetto e considerazione, agli scritti di questo o quel fondatore di gruppi o movimenti piuttosto che ai testi biblici e alla libertà spirituale che consegue da una loro matura e seria lettura.

Sarebbe molto interessante, per esempio, esaminare i progetti formativi e la prassi di vita di gruppi, movimenti e congregazioni che si sono affacciate all’attenzione ecclesiale, dalla fine della seconda guerra mondiale ad oggi, ossia da quando, nella Chiesa cattolica, la considerazione della Bibbia ha assunto connotati di serietà scientifica ineguagliabili rispetto al passato.

Tale analisi andrebbe condotta a partire dal seguente interrogativo: l’attenzione intelligente ed appassionata delle sacre Scritture ebraiche e cristiane è al centro dei progetti, delle iniziative, insomma dell’esistenza di questa collettività ecclesiale? E quando parlo di centralità, non mi riferisco all’utilizzazione della Bibbia come un prontuario di istruzioni prescrittive e precettistiche, ma ad un ascolto delle Scritture che sia una vera e propria scuola di libertà di coscienza per tutti5. Temo che le risposte a questi ultimi interrogativi sarebbero piuttosto diversificate e, non di rado, preoccupanti.

D’altra parte le energie economiche e umane che le Chiese, in particolare quella cattolica, dedicano allo studio e alla divulgazione seria della Bibbia sono certamente inadeguate. È piuttosto grave il fatto stesso che, ancora oggi, pochissimi di coloro che si dedicano professionalmente a questo campo siano laiche e laici che vivono confortevolmente, insieme alle loro famiglie, di questo lavoro.

Tale situazione deriva dal permanere della volontà di “controllo” culturale dei “vertici” ecclesiastici, a partire dalla quale si cerca di non dare spazio a chi non è orientabile in forza di voti di obbedienza prestati all’autorità ecclesiastica stessa? La risposta alla domanda non è semplice, ma l’interrogativo stesso appare tutt’altro che infondato e paradossale.

Le risorse finanziarie non vengono destinate spesso ad altre “necessità” più “tranquillizzanti” (per esempio prebende più o meno clientelari, discutibili e onerosissimi progetti edilizi o di abbellimento architettonico, ecc.) – e rivolte poco verso quanto sarebbe più “rischioso” per certi equilibri “pastoral-ecclesiali”, ma forse edificherebbe maggiormente la comunionalità nella Chiesa? Ecco un altro interrogativo inquietante, ma purtroppo non peregrino se si esamina la realtà ecclesiale cattolica, anzitutto nei Paesi europei di lingua neo-latina.

Favorire in larga scala la presenza di non presbiteri realmente preparati tra gli studiosi della Bibbia consentirebbe un’osmosi sempre più ricca tra la ricerca scientifica in campo biblico e teologico e la vita quotidiana della società umana nel suo complesso. Ciò non sarebbe in sé un antidoto bastevole all’erudizione inconcludente, che chiunque puo' realizzare. Tuttavia si contribuirebbe ad incrementare notevolmente, in quantità e qualità, i canali di interazione tra la Bibbia e la cultura dell’uomo contemporaneo.

Incrementare l’attività di persone con incarichi normativamente ed economicamente seri sia nelle istituzioni accademiche ecclesiastiche sia nelle parrocchie e nelle istituzioni ecclesiastiche di profilo pastorale dovrebbe essere, oggi e a medio termine, una delle attenzioni-guida di chi ha responsabilità decisionali nella Chiesa.

Indubbiamente – per rifarci alla situazione della Chiesa dell’Europa centrale negli ultimi vent’anni – gli “assistenti pastorali” hanno talora gravemente disatteso il ruolo formativo e testimoniale che avrebbero dovuto svolgere nella vita delle comunità locali. Ciononostante una Chiesa cattolica che voglia vivere realmente lo spirito e la lettera del Concilio Vaticano II, a cominciare proprio dalla Costituzione “Dei Verbum”6, e intenda, conseguentemente, favorire una diffusione della conoscenza biblica sempre maggiore, non può che mettere in atto progetti e strategie utili a moltiplicare le occasioni in cui il “popolo di Dio” confronta menti e cuori con la Parola del Signore, molto al di là di quanto avviene oggi. Indubbiamente i progressi su questa strada, da quarant’anni a questa parte, sono stati sensibilissimi, ma si puo' e si deve fare molto di più.

Le energie per pensare e attuare tutto ciò esistono. Come anche sono persuaso che si possano trovare, senza troppi sforzi di fantasia, le risorse finanziarie per sostenere adeguatamente le persone in grado di lavorare bene nelle prospettive appena indicate. Basta non averne paura e guardare ad esse con fiducia e simpatia, con lo slancio interiore proprio di un altro testo conciliare entusiasmante quale la costituzione pastorale “Gaudium et Spes” (cfr. in particolare il n. 44).

Come ha ricordato anche Mons. John Onayekan, il 15 settembre 2005, durante il suo intervento intitolato “Da Dei Verbum a Novo Millennio Ineunte al Congresso della Federazione Biblica Cattolica Mondiale a Roma («occorre fornire agli esegeti anche le risorse materiali per poter lavorare serenamente» disse il presule nigeriano) bisogna che tutti, in particolare le bibliste laiche e i biblisti laici, possano vivere dignitosamente del loro lavoro. E occorre dare spazio crescente, nelle istituzioni accademiche e pastorali ecclesiali, a donne e uomini ricchi di creatività, competenza scientifica, passione per l’umanità di tutti e spirito di libertà, senza badare anzitutto, se non esclusivamente, alle loro appartenenze ecclesiali specifiche, “movimentistiche” o meno.

 

3. Bibbia e società civile

Le “dolenti note” non sono certo soltanto negli ambienti ecclesiali. Infatti non si può riscontrare alcun significativo apprezzamento per il testo biblico là dove prevale ancora un laicismo di stampo settecentesco o ottocentesco, pregiudizialmente ostile a qualsiasi contenuto o elemento che abbia sentore di “religione”, di “fede”, o, peggio ancora, di “chiesa”. Tali condizioni non hanno oggi alcuna legittimità né ragione d’esistere in una società che intenda combattere l’ignoranza, la superficialità spirituale e la marginalità sociale, ovunque esse si manifestino.

 

3.1. Bibbia e formazione scolastica generale

Oggi si parla a proposito e, non di rado, a sproposito delle radici dell’identità culturale dell’Occidente. Chi vuole riflettere seriamente in merito non può che riconoscere l’importanza essenziale della Bibbia anche in questo contesto. Far emergere gli aspetti interiormente e socialmente più costruttivi della cultura occidentale può essere un viatico davvero importante sulla strada di un confronto sempre più usuale ed urgente con ispirazioni e mondi culturali extra-occidentali, nell’interesse della libera e pacifica convivenza a livello sia planetario sia locale.

Appare molto grave, per esempio, il fatto che, nei sistemi scolastici pubblici europei, lo studio dei classici della letteratura non contempli l’attenzione alle Scritture bibliche secondo pari dignità rispetto ad altri “monumenti” della letteratura antica, medioevale, moderna e contemporanea. Ci si limita a sostenere, più o meno esplicitamente, che gli insegnamenti scolastici di cultura religiosa, quando esistono, già se ne occupano.

Chi lo afferma, mostra di non rendersi conto che la Bibbia, in virtù anzitutto della sua incidenza storica nel tessuto culturale plurimillenario dell’Occidente, non può né deve essere terreno d’analisi esclusivo dei credenti cristiani, in particolare nell’ambito formativo pubblico. Esso deve costituzionalmente promuovere la conoscenza della realtà senza preclusioni o favoritismi circa le opzioni religiose o filosofiche individuali sui valori fondamentali della vita, le quali sono e restano legate alle libere scelte di ciascuno.

            Proporre la dimensione religiosa della cultura appare assai importante, la disciplina scolastica relativa deve diventare obbligatoria, a mio avviso, nell’interesse della crescita interiore e sociale di tutti. Il confronto con la Bibbia, però, deve essere condotto nell’ambito di altre discipline scolastiche, al di fuori di qualsiasi idea di esclusione o di obsoleto confinamento, figlia di un passato certamente da non rimpiangere.

Perdere di vista le sacre Scritture ebraiche e cristiane significherebbe, lo ribadisco, non capire gran parte dell’identità artistica in senso lato dell’intero Occidente che, sotto i profili letterario, architettonico, filosofico, scultoreo e pittorico, deve moltissimo alla Bibbia, come è del tutto palese per chi visiti, per esempio, le città, i villaggi e le campagne europee.

Non impegnarsi a far entrare lo studio della Bibbia quale componente imprescindibile, per esempio, dei programmi scolastici di letteratura vuol dire non aver colto l’importanza di questo discorso e contribuire a diminuire l’autocoscienza culturale delle generazioni euro-mediterranee ed euro-atlantiche presenti e future. La battaglia che sta conducendo in proposito, perlomeno in Italia, la meritoria associazione “BIBLIA” (Vedi:Bibbia e scuola - N.d.r.) è degna di ogni sostegno da parte di tutti coloro che hanno a cuore la crescita culturale autentica della popolazione nel suo insieme.

 

3.2. Bibbia e formazione universitaria extra-ecclesiale

            Analogo discorso vale per gli studi universitari: il fatto che le cattedre relative allo studio del Primo e del Nuovo Testamento siano numericamente assai esigue in tante istituzioni accademiche non ecclesiastiche è un altro segno indiscutibile di un disinteresse culturalmente stolto, in particolare nella società multiculturale odierna.

Enorme è il contributo etico ed estetico che le Scritture ebraiche e cristiane possono dare all’esistenza contemporanea e ad una salvaguardia dell’umanesimo più dinamico ed intelligente. Ovviamente se questi terreni non sono adeguatamente investigati sotto il profilo scientifico e seriamente presentati a livello divulgativo, tale apporto risulta difficilmente fruibile. E in un’epoca come la nostra, ricchissima di opportunità e stimoli culturali, ma anche di settarismi e integralismi di ogni genere e di una superficialità etica preoccupante, non avvalersi, in tutta libertà e responsabilità, di quello che la Bibbia può offrire di umanizzante ad alto e concreto livello, è davvero desolante e piuttosto demenziale.

Il rapporto dell’individuo con se stesso, quello tra l’uomo e la donna, la relazione degli esseri umani con la natura, il valore del lavoro nella vita umana: questi sono quattro ambiti fondamentali dell’esistenza dell’umanità e del mondo nei quali e sui quali i testi biblici hanno molto da dire nell’interesse della ricerca della felicità di tutti con tutti per tutti. Chi oggi può legittimamente sostenere il contrario, sapendo realmente quello che dice?

Ovviamente se le istituzioni accademiche non ecclesiastiche pensano soltanto a sviluppare i settori che appaiono immediatamente spendibili nella materialità della vita, in forza dello strapotere dell’economia e del denaro su tutto e tutti, e le istituzioni ecclesiastiche paragonabili non fanno scelte sostanzialmente diverse, un discorso di ampio respiro umanistico non avrà alcun diritto di cittadinanza.

E i costi sociali di certe scelte tragicamente miopi sono già oggi evidentissimi a chiunque percepisca la miseria e la mancanza di speranza per il futuro, riscontrabili nella vita di larghissime porzioni dell’umanità, e la deprimente superficialità che contrassegna l’esistenza di un numero crescente di abitanti del cosiddetto “Primo Mondo”.

  

4. Leggere la Bibbia oggi: una grande chance per l’umanità di tutti

            Dopo millenni di rapporti con le sacre Scritture ebraiche e cristiane la nostra contemporaneità, se è consapevole del tesoro di cui dispone, deve poter rielaborare, ad un tempo con rigorosa fedeltà e acuta attenzione alle istanze più profonde della società di oggi, quanto questa formidabile trasmissione di contenuti e forme di etica e di estetica ci ha consegnato attraverso secoli e secoli di studio, di culto e di formazione di centinaia di generazioni umane.

            Le donne e gli uomini che popolano il nostro Pianeta, e segnatamente coloro che sono di identità culturale euro-mediterranea, hanno oggi di fronte a sé una formidabile opportunità: leggere la Bibbia, passo dopo passo, dotandosi anche di qualche sussidio adeguato, al di fuori di moralismi e devozionismi di corto respiro, ma avvalendosi anzitutto della pazienza di percorrere capitoli, frasi, parole nel tentativo di capire anzitutto quello che il testo dice nel suo contesto originario e alla loro vita odierna.

Essi hanno a disposizione mezzi scientifici e tecnologici che solo cinquant’anni fa sarebbero apparsi fantascientifici e numerosi esperti, religiosi e laici, uomini e donne, di intelligenza, indipendenza spirituale e passione umanistica assai notevoli. Per fare tutto questo la paura, l’accademismo fine a se stesso e l’improvvisazione non solo sono sconsigliabili ma del tutto controproducenti.

            Avere paura di leggere la propria condizione interiore, la propria vita quotidiana nei suoi momenti di entusiasmo e di difficoltà, i propri errori esistenziali a partire dalla Parola di Dio, non fa parte di un sano senso dei propri limiti.

            Questo timore, sommerso o esplicito, deriva, invece, tra l’altro, da condizioni storiche che stentano ad essere superate e da un’immaturità culturale talora drammatica. Infatti il fondamentalismo esegetico e l’integrismo fideistico, due forme di suicidio del pensiero e dello spirito critico umani, si radicano esattamente in queste forme di insicurezza psicologica e, più in generale, interiore che ha, spesso, i connotati dell’arroganza e della rivendicazione di un’indebita superiorità religiosa.

            Leggere la Bibbia è una scuola di libertà, dunque di stimolo alle capacità umane di discernimento interiore e sociale profondo, ma non pretenzioso, appassionato, ma non emotivo, nel momento in cui i due corpora scritturistici e i testi che li compongono sono considerati nella loro storicità, nella loro ermeneuticità, nella loro fontalità originaria per la fede, dunque la vita cristiana.

            Leggere nella storia che è fatta dall’umanità e arriva ad essa attraverso l’espressione del linguaggio: questo è l’ambito in cui è possibile accostare qualsiasi testo biblico, senza contrapposizioni tra due dimensioni quali appunto storia e linguaggio, incomprensibili se scisse l’una dall’altra. E si tratta di un’interdipendenza che fa cogliere come la questione del significato contenuto nei testi biblici vada ben al di là delle differenze di metodo e di approccio che vanno certamente capite, ma non oltranzisticamente irrigidite nella convinzione che l’uno o l’altro siano la strada vera per ogni lettura.

            E vi sono altri due aspetti certo ardui, ma ineludibili:

            • in prima battuta la necessità di uno sforzo esegetico-ermeneutico degli esseri umani che non pensi di arrivare mai alla rivelazione ultimativa, ma che sia conscio che inattingibilità completa del senso non vuol dire inutilità di una ricerca veritativa costante in due serie di scritti – Primo e Nuovo Testamento – che sono ad un tempo veridici e polisemici, rivelatori ed oscuri, definitivamente chiarificatori ed inquietanti;

            • secondariamente, l’obbligo costituzionale di leggere la Scrittura certamente non come libro di verità assolute sullo scibile umano (il caso Galilei è eloquente una volta per tutte), ma come testimonianza della fede di tante donne e tanti uomini. Tutte persone che, nel corso di molti secoli per il Primo Testamento e di vari decenni per il Nuovo, hanno cercato di narrare la relazione di amore con il Signore Dio di Abramo, Isacco, Giacobbe, Mosé, dei profeti e ultimativamente, di Gesù Cristo e di corrispondere esistenzialmente a queste parole.

 

5. Punti di partenza verso un futuro maggiormente umano

            Precisare che cosa sia essenziale all’essere umano e che cosa non lo sia è una sfida culturale decisiva per l’umanità contemporanea. La Bibbia resta ancora oggi una fonte di ispirazione e di strutturazione per tutti gli abitanti del pianeta Terra o almeno per quanti sono cresciuti e crescono nel mondo euro-mediterraneo ed euro-atlantico. Ad una condizione: lo studio e la divulgazione delle sacre Scritture ebraiche e cristiane, dunque dei loro contenuti etici ed estetici, siano il cuore dinamico di tre piste formative essenziali:

            • l’educazione alla fede ebraica e cristiana tout court;

            • la conoscenza delle costanti che fanno di un individuo e di una collettività i soggetti di un’autentica umanità;

            • la conoscenza della storia culturale dell’Occidente.

            L’ebreo e il cristiano hanno nella Bibbia il fondamentale punto di riferimento del proprio esistere: essere intrisi di “logica biblica” nel vedere la realtà e nell’agire della propria vita significa essere fedeli alle proprie radici guardando al futuro con ideali aperti e lungimiranti.

Tutta la formazione, per esempio, nelle diverse comunità cristiane, o è radicalmente biblica o sostanzialmente non è cristiana. Infatti non è vero che fede e cultura cristiana non abbiano altri punti di riferimento o che ogni discorso o ragionamento su Dio si possa strutturare solo biblicamente.

Tuttavia è indiscutibile che ogni discorso o ragionamento sul Dio di Gesù Cristo non può che iniziare basilarmente dalla rivelazione biblica. E ciò resta vero anche se non se ne rendono conto quegli scienziati della teologia, che ancora oggi utilizzano la Bibbia come piattaforma retorica o come pezza d’appoggio argomentativa, o quei cristiani che - lo ripeto - danno maggior credito alle parole del loro leader di riferimento che ai testi primo e neo-testamentari.

            La Bibbia, complessivamente intesa, propone un’idea di essere umano in cui intelletto e cuore, razionalità ed emotività sono ambiti chiamati ad essere integrati ed unificati al servizio della solidarietà interumana fatta di amore concreto e quotidiano per i propri simili. Per comprendere la perennità o meno di questo ideale di vita occorre un confronto continuo tra i testi biblici e le istanze della cultura del nostro tempo, in una logica di dialogo tra ispirazioni diverse che abbiano i diritti e i doveri personali e sociali dell’individuo al centro della loro attenzione7.

Come si vede, si tratta sempre di un discorso formativo al servizio dell’uomo nella sua integralità e delle sue possibilità di essere felice e sensato anzitutto nella dimensione terrena della sua vita. La lettura tenace, appassionata e rigorosa della Bibbia è una strada importante in questa direzione, da percorrere in una chiave ecumenica pensata secondo una prospettiva che

«mirando all’unione tra le chiese, predispone per ciò stesso alla edificazione di una comunità ermeneutica universale, ossia di un ‘soggetto’ di interpretazione che valorizza armonicamente le diversità, ma anche supera e vince le parzialità faziose e i settarismi, così che anche l’interprete umano risulti meno inadeguato, per non dire più adeguato, alla trascendente ricchezza della parola di Dio e della sua verità»8.

 

                                                                             Ernesto Borghi

 


Note 
 

1 Cfr. anche E. Borghi, La Bibbia nella fede e nella cultura di tutti, in “Dialoghi” (191/2006), 2-7.

 

2 A questo proposito il n. 12 della costituzione “Dei Verbum” e forse, ancora di più, la quasi coeva istruzione della Pontificia Commissione Biblica “Sancta Mater Ecclesia” (21.4.1964 – n. 1ss) costituiscono due tappe fondamentali verso il pieno accoglimento del “metodo storico-critico” proposto dal documento “L’interpretazione della Bibbia nella Chiesa” (LEV, Città del Vaticano 1993, p. 30). Su quest’ultimo scritto della Pontificia Commissione Biblica mi permetto di rinviare anche ad un mio breve contributo La Bibbia nella Chiesa cattolica, in “Communio” (143/1995), 101-114.

 

3 Circa le ripercussioni di un’idea effettivamente esistenziale della lettura biblica si veda, per es., C. M. Martini, Lasciamoci sognare, Basilica di Sant’Ambrogio - Milano - 7.12.1996 in “Il Regno-documenti” (3/1997), 316-317.

 

4 Gruppo di lavoro bilaterale della Conferenza Episcopale Tedesca e della direzione della Chiesa Evangelica Luterana Unita di Germania, Communio Sanctorum. La chiesa come comunione di santi, tr. it., a cura di A. Maffeis, Morcelliana, Brescia 2003, p. 139.

 

5 «Fa parte della Parola il fatto che sia previsto qualcuno che l’ascolti e l’effetto che essa produce su di lui... L’interpretazione è un essere interpretati dalla Parola. È la Parola che ti legge, ti scruta, ti giudica, ti libera, ti salva. È un’esperienza di lettura che certamente va oltre l’orizzonte storico critico, ma è fedele all’intenzione del testo» (S. Fausti, Il futuro è la Parola, Piemme, Casale Monferrato [AL] 2000, pp. 31-32).

 

6 Per approfondire in modo del tutto ragguardevole il significato e i contenuti del documento conciliare citato appare assai utile, tra i molti contributi pubblicati lo scorso anno, in occasione del suo quarantennale, il saggio, scientificamente divulgativo, di P. Ferrari, La Dei Verbum, Queriniana, Brescia 2005.

 

7 «Se la nostra vita ha il sapore delle Beatitudini, essa attirerà. Se abbiamo l’aspetto di figli, tutti vedranno in noi dei fratelli... Come credenti abbiamo la grande responsabilità di offrire comunità che lo testimonino, perché la fede passa sempre attraverso la testimonianza vissuta, della quale altri possano dire: “È bello vivere così!”. Mi ha colpito vedere amici atei, che conoscevo da trent’anni, approdare alla fede per un motivo che una volta avrei definito banale, cioè perché incontrano un credente. E dicono: “È credente; non è disonesto né scemo, e vive con gioia. Perché non esserlo anch’io?”. È sempre la testimonianza che porta ad interrogarsi sulle cose fondamentali della vita... Ma se non si vede nulla, ogni apologetica è controproducente» (S. Fausti, Il futuro è la Parola, pp. 75-76).

 

8 L. Sartori, La Bibbia nel cammino ecumenico, in G. Segalla (ed.), Cent’anni di Studi biblici (1893-1993) = “Studia Patavina”, 41 (1994), 186. Pure da questa consapevolezza sono scaturite, in tempi recenti, in varie parti del mondo, delle iniziative volte a favorire, anche nello spirito dei documenti magisteriali citati in precedenza, una conoscenza della Bibbia sempre più seria e sanamente endemica, secondo libertà e senso di responsabilità culturale. Un esempio, a questo proposito, è L’Associazione Biblica della Svizzera Italiana (=A.B.S.I.) è un sodalizio culturale ecumenico, che ha, quale suo fine, di favorire la lettura e lo studio della Bibbia nel territorio svizzero a maggioranza italofona, sia negli ambiti ecclesiali in senso stretto sia in quelli della società civile nel suo complesso a cominciare dal sistema scolastico-universitario. Nel comitato direttivo siedono rappresentanti delle Chiese cristiane e delle istituzioni accademiche teologiche territoriali così come persone elette liberamente dagli associati. L’A.B.S.I. è stata fondata a Lugano il 15 gennaio 2003 e da alcuni mesi ha superato i duecento associati, persone assai eterogenee per età e formazione culturale, ma interessate all’approfondimento dei temi e testi propri del Primo e Nuovo Testamento nel quadro della riflessione culturale contemporanea.